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Trasfusione a testimone di Geova all’Umberto I: chirurgo rischia denuncia

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Donna muore per errata emotrasfusione: analisi deontologica e responsabilità infermieristica
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Il caso del 18 dicembre al Policlinico Umberto I: consulto con il pm Francesco Musolino prima dell’intervento; ora si apre un possibile procedimento per violenza privata

Un caso che intreccia medicina, diritto e autodeterminazione personale apre oggi le pagine di notizie, attualità e cronaca italiana. Il 18 dicembre, al Policlinico Umberto I di Roma, un chirurgo ha affrontato una complicazione post-operatoria che ha reso necessaria una nuova operazione e, secondo varie ricostruzioni, una trasfusione urgente: la paziente era una testimone di Geova che aveva espresso per iscritto il rifiuto di ricevere sangue anche in caso di pericolo di vita. 

La ricostruzione dei fatti

Secondo le ricostruzioni, il paziente era già stato sottoposto a un primo intervento (bypass gastrico) andato a buon fine; nei giorni successivi è comparsa una complicanza che ha richiesto una nuova operazione e la possibilità quasi certa di una trasfusione. Il chirurgo, consapevole della dichiarazione scritta della paziente, ha contattato la Procura di Roma e parlato con il pm di turno, Saverio Francesco Musolino, per valutare le opzioni clinico-legali prima di procedere. 

Fonti giornalistiche riportano che l’operazione è infine avvenuta e che — sempre secondo alcune ricostruzioni — la trasfusione è stata eseguita con esito positivo, lasciando la paziente in buone condizioni. Tuttavia sul punto esiste una divergenza di versioni: la direzione del Policlinico Umberto I avrebbe poi rilasciato una precisazione riportando che non sarebbe stata effettuata alcuna trasfusione sul caso in oggetto. Questa incongruenza fra le fonti sarà un elemento chiave per eventuali accertamenti e per l’eventuale apertura di un’indagine. 

Aspetti giuridici: autodeterminazione vs tutela della vita

Sul piano costituzionale, l’articolo 32 della Costituzione tutela la salute come diritto fondamentale e stabilisce che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Al contempo lo Stato tutela la vita e la salute pubblica: è proprio questo bilanciamento che il pm avrebbe illustrato al chirurgo nel corso del consulto telefonico. Il richiamo all’art. 32 è centrale per comprendere la cornice normativa in cui si muovono medici, magistratura e pazienti. 

La giurisprudenza e la prassi medica pongono spesso in relazione il principio di autodeterminazione del paziente (e la libertà religiosa) con il dovere del medico di preservare la vita quando è in gioco un bene costituzionalmente protetto. I casi analoghi trattati dalla magistratura mostrano come la valutazione sia molto contestuale: incide lo stato di coscienza del paziente, la presenza di disposizioni anticipate di trattamento, l’urgenza clinica e le alternative terapeutiche possibili.

Implicazioni per la pratica clinica e per il personale sanitario

Per medici e infermiere in reparto, la vicenda offre due indicazioni operative immediate:

  • documentare in modo chiaro e tempestivo il consenso o il rifiuto del paziente (formale e, se possibile, con testimoni);
  • in casi di ambiguità o grave urgenza, coinvolgere il rischio legale e — come avvenuto — la Procura o il servizio legale aziendale per un parere preventivo.

Tali misure non eliminano i dilemmi etici, ma migliorano la tracciabilità delle scelte e la tutela professionale del personale sanitario.  

Redazione NurseTimes

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