Pasquale Giuseppe Macrì, primario di medicina legale dell’Asl Toscana Sud Est, all’agenzia Dire: “Si tratta di autodeterminazione”.
E’ un tema scottante, quello del “dissenso informato”, ossia la libertà, o ancora meglio l’autodeterminazione di decidere quali trattamenti sanitari accettare e quali no. Un tema che storicamente deve molto alla lotta dei testimoni di Geova per vedersi riconosciuto il diritto a non accettare trasfusioni, con cui tanti medici si sono dovuti misurare.
L’agenzia Dire ne ha parlato con Pasquale Giuseppe Macrì, primario di medicina legale dell’Asl Toscana Sud Est, che ha confermato: “Dobbiamo parlare del diritto a rifiutare. Un tema senz’altro divisivo, che nella comunità scientifica, nella dottrina giuridica e finalmente anche nella prassi giurisprudenziale sta trovando una buona collocazione. Oggi il paziente è diventato il soggetto attivo, come in passato non accadeva. Veniamo da una situazione in cui c’era un totale disequilibrio nel rapporto di cura a favore del medico”.
Prosegue Macrì: “Cambia tutto a fine anni Ottanta – inizio Novanta, quando c’è stata la rivoluzione bioetica e abbiamo avuto più chance terapeutiche. In una società contadina il recupero immediato della salute era importante per la sussistenza economica, e in quel caso le scelte erano limitate”. La rivoluzione è stata passare dal medico come esercente di una professione salvifica “all’esperto nella relazione di cura che ci propone uno o più indirizzi terapeutici e li concorda con noi, stabilendo pure fino a che punto seguirli o rifiutarli”.
E come la mettiamo sul fatto che il paziente non ha le conoscenze del medico? Né più né meno di quello che accade per un ingegnere o per un avvocato: “Il decisore è il committente, il paziente”. Aggiunge il primario: “Prima si considerava ed enfatizzava lo stato di necessità del paziente, laddove il medico poteva fare tutto come un pompiere che entra in casa se c’è un incendio. Ma c’è da chiedersi: ‘Se l’incendio l’ho appiccato io?’. Si tratta di autodeterminazione”.
I testimoni di Geova sono stati degli apripista? “Moltissimo -conclude Macrì -. Ho seguito l’evoluzione della lotta che hanno fatto nell’interesse proprio e di tutti, e oggi abbiamo una legge sul buon uso del sangue che senza di loro non ci sarebbe stata. Abbiamo tutti i medici convinti che non basta una modesta riduzione di emoglobina per fare una trasfusione. Le trasfusioni hanno pericoli intrinsechi, non tutti eliminabili. La loro battaglia è servita al progresso civile della medicina e del diritto, che in Italia era molto arrestato e ignorava la dignità delle persone”.
Redazione Nurse Times
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