La Sezione Lavoro conferma (ordinanza n. 25525/2025, pubblicata il 17 settembre) che la pausa prevista dopo sei ore dà diritto alla mensa o — se impossibile per la continuità assistenziale — al buono pasto sostitutivo, anche per il personale turnista.
La Suprema Corte di Cassazione, con riferimento all’ordinanza n. 25525/2025, ha ribadito un principio chiave per il settore sanità. Chiunque lavori più di sei ore ha diritto a un intervallo per la consumazione del pasto. Qualora la mensa aziendale non sia fruibile per esigenze di continuità assistenziale, si ha diritto al buono pasto sostitutivo. Questa pronuncia interessa direttamente infermieri, oss e altro personale sanitario. Rappresenta un aggiornamento importante per la giuslavoristica in sanità.
Contesto giuridico e norme richiamate
Il quadro normativo su cui si è basata la decisione unisce la disciplina generale sull’orario di lavoro. Include anche la contrattazione collettiva del comparto sanità. L’articolo 8 del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66 stabilisce che «se l’orario di lavoro giornaliero eccede il limite di sei ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa». I contratti collettivi determinano durata e modalità.
Nel comparto sanitario, l’articolo 29 del CCNL integrativo 20/09/2001 prevede la possibilità di istituire il servizio mensa. Stabilisce che «hanno diritto alla mensa tutti i dipendenti, ivi compresi quelli che prestano la propria attività in posizione di comando, nei giorni di effettiva presenza al lavoro. Ciò è in relazione alla particolare articolazione dell’orario». Su questa base, la giurisprudenza recente interpreta il diritto alla mensa (o al buono pasto sostitutivo). È collegato alla pausa prevista per turni superiori alle sei ore.
Il caso: cosa hanno chiesto gli infermieri e come ha deciso la Cassazione
Il ricorso riguarda un gruppo di 14 infermieri turnisti. Essi avevano contestato il regolamento aziendale dell’Azienda sanitaria provinciale di Messina. Tale regolamento limitava l’accesso al servizio mensa al personale non turnista con rientro pomeridiano. I sanitari hanno chiesto il riconoscimento del diritto alternativo alla mensa. Ciò vale per i giorni in cui il turno superava le sei ore. In tutti i gradi di giudizio — con sentenza favorevole della Corte d’Appello — è stato ritenuto che il diritto discende dalla combinazione di CCNL e legge nazionale. Questo principio è stato poi confermato dalla Cassazione.
La Corte ha quindi sottolineato che, nel pubblico impiego privatizzato, la possibilità di ricevere un buono pasto è subordinata alla possibilità di godere della pausa pranzo. Se la legge garantisce la pausa dopo le sei ore, ne consegue il diritto alla mensa o a una modalità sostitutiva (buono pasto). Questo avviene qualora la mensa non sia accessibile per esigenze organizzative o di continuità assistenziale.
Implicazioni pratiche per le aziende sanitarie e per gli infermieri
Le aziende ospedaliere non possono limitare il diritto al pasto ai soli non turnisti con regolamenti interni. Ciò è valido se contrasta con la legge e il CCNL. Questo principio vale per tutto il personale che lavori oltre sei ore.
In caso di impossibilità di accedere alla mensa (es. turno continuo, reperibilità, emergenze), il datore di lavoro deve garantire una misura sostitutiva. Questa misura è il buono pasto o equivalente. Altrimenti, rischia contenziosi e risarcimenti.
La mancata erogazione può dar luogo a richieste risarcitorie, come già accaduto in più pronunce sui buoni pasto nel comparto sanitario.
Dati e precedenti giurisprudenziali
Negli ultimi anni numerose pronunce di tribunali e corti d’appello — e in più occasioni la Cassazione stessa — hanno chiarito che il buono pasto ha natura assistenziale. Inoltre, il diritto alla sua fruizione è collegato alla pausa per la consumazione del pasto. Sentenze locali hanno già condannato aziende sanitarie al pagamento di arretrati a favore del personale turnista. Questo accade quando il diritto è stato negato.
Redazione NurseTimes
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