La presidente della Federazione: “Percorso scelto da tanti colleghi: oggi 461mila iscritti all’albo con un’età media di 46.5 anni”.
“La figura dell’infermiere di famiglia e comunità, recepita negli atti da tutte le Regioni italiane grazie al lavoro capillare svolto dagli ordini provinciali e dalle università, è scelta sempre di più dai colleghi, soprattutto dai più giovani. Per questo, come Federazione, in un lavoro di grande sinergia con i due ministeri competenti, abbiamo inserito Cure primarie e sanità pubblica tra le tre nuove lauree magistrali a indirizzo clinico. Ci auguriamo che il loro recepimento sia posto subito all’ordine del giorno del nuovo Consiglio superiore di sanità, che si insedierà il prossimo 8 luglio”. Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi, è intervenuta al workshop promosso dal ministero della Salute dal titolo “L’infermiere di famiglia per la continuità assistenziale tra i professionisti, i luoghi e il tempo delle cure”.
Nel corso del suo intervento, partendo dai dati del primo Rapporto Fnopi Sant’Anna, ha delineato l’identikit degli infermieri iscritti all’albo nazionale: 461mila (dati al 30 giugno), con un’età media di 46.5 anni e una netta prevalenza di donne. “Una professione – ha specificato – che, per quanto più giovane di quella medica, è entrata nella fase della gobba pensionistica, che ne mette in evidenza la carenza crescente negli anni a venire”.
La presidente Fnopi ha ricordato anche l’importanza di accedere a fonti certe, come Ragioneria dello Stato, ministero della Salute e la Federazione, che da quest’anno ha inaugurato il Rapporto con l’intento di metterlo a disposizione di istituzioni e opinione pubblica.
“Nel Rapporto – sottolinea la presidente Fnopi – vengono analizzate tutte le peculiarità regionali con un focus sull’infermiere di famiglia e comunità ancora presente a macchia di leopardo nelle varie aree del Paese. Ma laddove funziona se ne comprende la centralità. Di conseguenza occorre diversificare i modelli organizzativi, e specializzare le competenze”.
E ancora: “Partendo da una formazione universitaria triennale generalista e in grado di fornire una base importante al professionista, il percorso deve proseguire attraverso le lauree magistrali e i master, perché con l’infermiere di famiglia e comunità cambia il paradigma dell’assistenza. Semplificando: l’infermiere non risponde più alla chiamata in ospedale, ma lui suona al campanello ed entra nelle case delle persone assistite. Case e situazioni sempre diverse e non sempre semplici. Indispensabile, quindi, una formazione specifica e puntuale”.
Redazione Nurse Times
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