Primario, Infermieri e buon andamento della Unità Operativa, chi è il responsabile e chi vigila?
Domanda innata, con risposte che mutano spesso, che cozzano tra loro e che creano confusione nei Manager e nei professionisti deputati all’assetto dirigenziale di un centro di consumo, come ad esempio una Unità Operativa.
Recentemente infatti una sentenza degli Ermellini spiazza completamente l’idea e i costrutti secondo i quali il Direttore di una determinata Struttura (Semplice o Complessa che sia) sia omni-responsabile.
Il primario non ha l’obbligo di verificare la competenza degli infermieri!
Con la sentenza 2541/2016, la Cassazione ribadisce con forza il principio della separazione delle competenze tra medico e infermiere, dal quale fa derivare l’inesistenza di un obbligo a carico del primario a formare e a verificare le competenze del personale infermieristico. Inoltre, la sentenza offre l’occasione per compiere alcune riflessioni sulla responsabilità colposa dei vertici amministrativi, troppo spesso vera causa di eventi offensivi. In primo grado il primario di un’unità di terapia intensiva di cardiologia veniva assolto dall’accusa di omicidio colposo a danno di un paziente deceduto a seguito di una aritmia fatale al cuore, la quale non era stata rilevata dal personale infermieristico in quanto impegnato in altre attività necessarie e che comunque non era stata segnalata dal monitor con allarme acustico in quanto gli infermieri erano privi della formazione indispensabile per far funzionare correttamente il sistema di monitoraggio. In particolare, veniva esclusa la colpa.
Da un lato, si affermava che l’imputato aveva svolto la sua funzione di verificare, al momento del trasloco dell’Unità presso una nuova struttura, che il mantenimento della precedente turnazione di tre infermieri professionali complessivi comportava la scomparsa della funzione di controllo visivo dei monitor. Anzi, era risultato che lo stesso aveva evidenziato con forza le problematiche insorte esponendosi personalmente anche nei confronti della Dirigenza amministrativa, con la conseguenza che, secondo il tribunale, la responsabilità delle evidenziate inefficienze doveva essere addirittura ravvisata nell’operato dei vertici. Dall’altro lato, si osservava che non rientrava tra i compiti del Primario quello di organizzare i corsi per la formazione del personale infermieristico sul nuovo sistema di monitoraggio del reparto e che non poteva neppure pretendersi dallo stesso una puntuale verifica preliminare della piena conoscenza del sistema da parte dei singoli operatori.
In appello il primario viene condannato ritenendo fondato il secondo profilo della colpa: essendo a conoscenza delle disfunzioni relative all’attività di monitoraggio, egli avrebbe dovuto assicurarsi della esaustiva capacità degli infermieri di utilizzare correttamente le apparecchiature telemetriche.
La Cassazione assolve il medico sulla base di due argomentazioni. Anzitutto, non rientra tra i compiti del Primario organizzare corsi per la formazione del personale infermieristico e neppure verificare la competenza degli operatori. Alla luce della normativa vigente, il personale infermieristico non è più considerato “ausiliario del medico”, ma “professionista sanitario”, con la conseguenza che l’unità operativa è caratterizzata da personale che agisce terapeuticamente in autonomia e nell’immediatezza anche senza la presenza del medico.
In secondo luogo, si osserva che la Corte di appello non ha effettuato alcuna prognosi circa l’efficacia, sul piano della evitabilità del decesso del paziente, del comportamento alternativo lecito: la Corte di Appello – sostiene la Corte – avrebbe dovuto interrogarsi sul “se” anche ad allarmi attivati, sarebbe stato possibile un intervento immediato e tempestivo da parte delle due sole infermiere, già occupate con altri tre pazienti problematici.
La sentenza merita tre considerazioni. Anzitutto, convince l’affermazione della inesistenza di un obbligo in capo al primario di formazione degli infermieri, e ciò per la semplice ragione che si tratta di due figure assolutamente indipendenti. In secondo luogo, si deve osservare come nella giurisprudenza di legittimità si faccia sempre più strada l’idea che per attribuire la colpa non sia sufficiente l’accertamento della violazione di una regola cautelare, dovendosi indagare anche l’efficacia concreta del comportamento alternativo lecitomediante un giudizio prognostico che tenga conto delle circostanze concrete in cui la condotta dovuta deve essere realizzata. Infine, non si può fare a meno di notare come dietro a tutta questa vicenda vi fossero soprattutto gli estremi per una colpa da parte dei vertici amministrativi, i quali avevano realizzato una ristrutturazione senza considerare le disfunzioni che si sarebbero venute a creare, derivanti in questo caso dalla insufficienza del personale infermieristico.
Non solo, ma c’è da ritenere che in questa particolare fase storica si andranno sempre più ad aprire margini per affermare una responsabilità dei vertici amministrativi a seguito di una colpa nelle scelte organizzative, visto che sempre di più si stanno operando ristrutturazioni che creano disfunzioni che gli operatori non sono in grado di affrontare. In buona sostanza, si profila all’orizzonte il rischio che eventi offensivi a danno di pazienti, se da un lato sono dovuti a una colpa degli operatori sanitari, dall’altro lato tale colpa è a sua volta dovuta a scelte organizzative a monte nella sostanza negligenti, come avvenuto nel caso in esame, dove il trasferimento dalla vecchia struttura al nuovo reparto aveva messo in evidenza la carenza del personale infermieristico, vale a dire delle dotazioni minime necessarie a garantire la piena funzionalità ed adeguatezza del reparto.
E se fino ad ora si finisce per scaricare tutte le responsabilità sui medici, che tuttavia a ben vedere spesso non dovrebbero essere puniti perché si trovano nell’impossibilità di adempiere proprio a causa delle scelte organizzative disfunzionali, in futuro sarebbe opportuno individuare i reali responsabili che sono sostanzialmente i vertici amministrativi.
Ciò pero non riguarda, come è facile intuire il “rapporto Medico/Medico”, lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 4985/2014 depositata il 31 gennaio scorso. Infatti avere affidato la paziente a un altro medico non esclude la colpa per imperizia né la responsabilità del primario, che è tenuto a supervisionare l’operato degli altri medici del reparto. Per questo la Cassazione ha giudicato il primario colpevole di “disinteresse” nei confronti della paziente. La Cassazione con la sentenza 4985/2014, fu chiamata a pronunciarsi sul decesso per coma diabetico di una donna di 24 anni al terzo mese di gravidanza. La donna fu dapprima ricoverata nella clinica privata dove prestava servizio il suo ginecologo, ma “sebbene le condizioni della donna peggiorassero, i diversi medici che si alternarono tennero un atteggiamento noncurante”, si evidenzia nella sentenza.
Oltre alla responsabilità per imperizia, legata alla mancata diagnosi, i giudici hanno infatti evidenziato la colpa per “negligenza” e “disinteresse” dei medici. In particolare quella del primario, per non avere vigilato sullo stato di salute della paziente mentre era assistita dagli altri medici del reparto. Aspetto, quest’ultimo, che gli avvocati difensori avevano invece invocato quale attenuante sulla base del principio di affidamento. Un richiamo “inconferente” la Corte di Cassazione. Perché “il primario era tenuto a ruolo di supervisione nei confronti degli altri terapeuti presenti nel reparto, anche quando i pazienti erano ad essi affidati”. Ed “è evidente – secondo la Cassazione – che dovendo supervisionare, non ci si può passivamente affidare ma occorre instaurare un rapporto critico-dialettico con gli altri sanitari, tanto più quando il caso si rivela per qualunque ragione di problematica risoluzione.
CALABRESE Michele
Sitografia e Bibliografia:
https://www.quotidianogiuridico.it
https://www.quotidianosanita.it
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