…a cura di: Dott. Nicola Lorusso, Dott.ssa Nicoletta Sgarra, Dott.ssa Troia Patrizia
Epidemiologia
Il tumore della prostata è uno dei tumori più diffusi nella popolazione maschile e rappresenta circa il 15% di tutti i tumori diagnosticati nell’uomo: le stime, relative all’anno 2015, parlano di 35.000 nuovi casi l’anno in Italia.
Stando ai dati più recenti, nel corso della propria vita un uomo su 8 nel nostro Paese ha la probabilità di ammalarsi di tumore della prostata.
L’incidenza, cioè il numero di nuovi casi registrati in un dato periodo di tempo, è cresciuta fino al 2003; in concomitanza della maggiore diffusione del test PSA (Antigene prostatico specifico, in inglese Prostate Specific Antigene) quale strumento per la diagnosi precoce, e successivamente a iniziato a diminuire (A.I.R.C. 2017).
Fra le Regioni si hanno tassi d’incidenza molto diversi: le regioni centro-settentrionali si caratterizzano per valori molto più alti rispetto alle regioni meridionali.
Situazione opposta si riscontra invece per il tasso di mortalità per il quale le regioni meridionali registrano valori elevati (ISS, 2008).
L’educazione nel paziente con neoplasia alla prostata: una risorsa per malati e curanti
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce gli interventi educativi, volti a sostenere le persone che hanno problemi di salute, “educazione terapeutica” intesa come…un’attività finalizzata ad aiutare il paziente e la sua famiglia a capire la natura della malattia e dei trattamenti, a collaborare attivamente alla realizzazione di tutto il percorso terapeutico e a prendersi cura del proprio stato di salute per mantenere e migliorare la propria qualità di vita (OMS, 2001).
Educazione terapeutica significa dunque costruire una collaborazione attiva tra curanti e malati attraverso il trasferimento dagli uni agli altri delle conoscenze, procedure e gesti terapeutici indispensabili a gestire insieme la malattia e la cura.
L’educazione si propone quindi di aiutare la persona e la sua famiglia nella gestione della malattia; di rallentarne l’evoluzione, prevenire le complicanze evitabili, attraverso il riconoscimento attivo dei fattori scatenanti e precoce dei segni e sintomi di riacutizzazione, gestire in modo sicuro la terapia farmacologica prescritta, assumere stili di vita sani e compatibili con la disabilità o lo stato di malattia, attività fisica, alimentazione, garantire qualità di vita alla persona.
È attraverso una partnership competente tra curanti e malati, che si possono creare i presupposti per una gestione sicura ed efficace della malattia e della cura (Bassi et al., 2008), infatti un approccio che consente la condivisione di esperienza e conoscenza tra pazienti e curanti, porta a prendere decisioni più appropriate riguardo l’auto-gestione del trattamento, migliorandone la sicurezza e l’efficacia (Gordon et al., 2007).
È fondamentale sottolineare che l’educazione terapeutica non mira a “scaricare” il malato, allontanandolo dal medico e rendendolo “curante di sé stesso”, bensì si propone di promuoverne l’empowerment e di farne un partner competente.
Per l’infermiere avere competenza in campo educativo è essenziale, perché, come sottolineato dal Profilo Professionale, l’educazione è una delle forme, insieme alla relazione e alla tecnica, attraverso cui si realizza l’assistenza al paziente, indipendentemente dall’ambito di intervento, sia esso preventivo, curativo, palliativo o riabilitativo (legge D.M. n° 739 14/09/1994).
Altri riferimenti legislativi compaiono nel codice deontologico degli infermieri, negli articoli:
“L’assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività. Si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari di natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa”.
“L’infermiere orienta la sua azione al bene dell’assistito di cui attiva le risorse sostenendolo nel raggiungimento della maggiore autonomia possibile, in particolare, quando vi sia disabilità, svantaggio, fragilità”.
“L’infermiere promuove stili di vita sani, la diffusione del valore della cultura della salute e della tutela ambientale, anche attraverso l’informazione e l’educazione. A tal fine attiva e sostiene la rete di rapporti tra servizi e operatori”.
“L’infermiere aiuta e sostiene l’assistito nelle scelte, fornendo informazioni di natura assistenziale in relazione ai progetti diagnostico-terapeutici e adeguando la comunicazione alla sua capacità di comprendere”.
Il processo educativo del paziente è ciclico e continuo; le fasi non sono necessariamente sequenziali, l’aspetto fondamentale è che l’infermiere abbia l’intenzionalità di attivare una relazione educativa e che costruisca il percorso con paziente e famigliari seguendo e adattando le fasi del processo alle peculiarità della loro situazione, condividendo gli obiettivi, i metodi di insegnamento e le modalità di valutazione.
Gestione della ferita chirurgica e terapia analgesica
Una corretta gestione della ferita chirurgica è fondamentale per ottenere un buon decorso post-operatorio, l’eventuale infezione del sito chirurgico aumenta la durata della degenza ospedaliera e i rischi di ulteriori complicanze (Bare & Smeltzer, 2006).
La tipologia di ferita chirurgica che il paziente presenta dipende strettamente dalla tecnica chirurgica che l’urologo effettua durante l’intervento e quindi determina anche il decorso post-operatorio.
La ferita deve essere protetta con medicazione sterile chiusa, i principali obiettivi sono quelli di controllare il sanguinamento post-operatorio, assorbire l’essudato se presente, alleviare il dolore e proteggere i nuovi tessuti in via di ricostruzione (Brugnolli et al, 2010; Bare & Smeltzer, 2006; Kozier & Erb, 2005).
La medicazione può essere effettuata utilizzando idrocolloidi, sostanze idroattive, cerotti medicati assorbenti oppure membrane in poliuretano e sostituita ogni 48-72 ore tranne se bagnata, visibilmente sporca o se il paziente presenza segni e sintomi che suggeriscono la presenza di infezione (Brugnolli et al, 2010).
La letteratura indica che nella procedura di medicazione è fondamentale presidiare il lavaggio sociale delle mani e l’utilizzo dei guanti monouso; rimuovere il cerotto tirandolo in modo parallelo alla cute e in direzione della crescita del pelo, piuttosto che ad angolo retto; è raccomandato utilizzare per la detersione soluzione fisiologica sterile attraverso la tecnica asettica “no-touch” per minimizzare il rischio di contaminazione del sito chirurgico (Brugnolli et al, 2010; Bare & Smeltzer, 2006).
Nel momento della sostituzione occorre ispezionare il colore della ferita, l’area circostante e la vicinanza dei bordi, annotare le dimensioni e la localizzazione di qualsiasi deiscenza, se presente; osservare la collocazione, il colore, la consistenza, l’odore e il grado di saturazione della medicazione, annotare il numero di garze sporche o il diametro della secrezione sulla garza.
Verificare la presenza di tumefazione anche se un moderato gonfiore nelle prime fasi di guarigione può essere normale (Kozier & Erb, 2005).
Il paziente dovrà rivolgersi al medico nel momento in cui nota qualsiasi segno di infezione, quali: rossore, gonfiore marcato che supera di 2.5 cm il sito chirurgico, tensione o aumento di calore attorno alla ferita stessa, striature rosse nella cute vicino alla ferita, pus o secrezione, cattivo odore, brividi o alta temperatura, superiore ai 37.7 °C (Bare & Smeltzer, 2006).
Queste informazioni possono essere riassunte e riportate in un opuscolo così che il paziente abbia sempre a disposizione tutte le informazioni scritte.
Il paziente andrà inoltre educato alla gestione della ferita chirurgica, si possono organizzare lezioni guidate dagli infermieri che insegnano al paziente la corretta gestione della medicazione per aumentare le conoscenze e la fiducia del paziente (LaVelle & McLaughlin, 2008).
Per valutare se la lezione guidata è stata efficace è utile far eseguire dal paziente stesso la medicazione della ferita al fine di rafforzare l’apprendimento e chiarire eventuali dubbi (LaVelle & McLaughlin, 2008).
Una ulteriore informazione da riportare nell’opuscolo riguarda le attività che possono essere svolte al domicilio e la durata dell’astensione di alcune tipologie di attività (Patterson, 2004; Burt et al, 2005).
Occorre evitare il sollevamento di pesi e attività che comportano uno sforzo fisico almeno nel primo mese dopo l’intervento, sostenere lunghi viaggi in macchina, evitare di utilizzare moto e bicicletta per almeno un paio di mesi.
È consigliato, invece, effettuare attività fisica moderata, ad esempio fare lunghe passeggiate e salire le scale (Carpenito, 2010).
Nell’intervento di prostatectomia il dolore post-operatorio è presente nel 99% dei pazienti (Watts et al, 2009; Milne et al, 2008); questo problema può influenzare oltre la sfera sensoriale ed emotiva, anche quella psicologica (Ene et al, 2006).
È necessario quindi che il paziente sia adeguatamente informato e preparato ad affrontare tale esperienza, a questo proposito può essere rilasciato, prima dell’inizio della degenza, un opuscolo informativo che spieghi il problema stesso incluse le cause più diffuse che provocano dolore (Patterson, 2004), ad esempio nello studio di Milne et al. (2008) emerge che la fonte principale, ma inaspettata di dolore è risultato essere il meteorismo intestinale.
Gli interventi antalgici vengono classificati in farmacologici e non farmacologici.
La prima tipologia si riferisce alla terapia convenzionale ossia all’utilizzo di farmaci antidolorifici prescritti dal medico curante, mentre la seconda riguarda la terapia complementare, che comprende interventi che includono approcci cognitivo – comportamentale e fisici con l’obiettivo di modificare la percezione del dolore, di alterare i comportamenti che lo provocano e di conferire al paziente un senso di controllo sul dolore.
Questo tipo di terapia comprende diverse tecniche: distrazione come parlare e musicoterapia (la musica deve essere ascoltata per almeno 15 minuti affinché faccia effetto), tecniche di rilassamento come la respirazione ritmica, l’immaginazione guidata, il rilassamento progressivo della muscolatura e tecniche di stimolazione cutanea come massaggi, applicazioni calde, fredde, di unguenti mentolati e la stimolazione nervosa transcutanea (TENS) (Pieper et al, 2006; Powel & Clark, 2005; Holloway, 2008; Saiani & Brugnolli, 2010).
Data la sua incidenza durante il decorso post-operatorio il dolore deve essere monitorato attraverso l’uso di scale di valutazione: la scala di punteggio numerico (NRS) che valuta l’intensità del dolore stesso e che ci permette, attraverso la continua rivalutazione, di monitorarne l’andamento (Ene et al, 2006).
Nel post-operatorio è prevista e impostata una terapia antalgica che deve essere illustrata al paziente relativamente a modalità di assunzione ed eventuali effetti collaterali.
Dalla letteratura emerge la seria preoccupazione del paziente per la gestione del dolore al domicilio, pertanto, in vista della dimissione, occorre garantire una educazione terapeutica efficace (Pieper et al, 2006).
Si spiega al paziente che è bene tenere sempre monitorata l’intensità del dolore attraverso un diario (Tanaka et al, 2009) e, l’assunzione di farmaci prescritti dal medico quando il dolore è di intensità moderata/forte (NRS>4); si ribadisce anche l’importanza di seguire il paziente durante la dimissione attraverso telefonate di follow up per controllare la durata e l’intensità del dolore e per verificare l’efficacia della terapia antalgica, inoltre può essere l’occasione per il paziente di chiarire eventuali dubbi (Burt et al, 2005).
Percorso di educazione per paziente con disfunzione erettile
La disfunzione erettile è un problema delicato da affrontare perché coinvolge la sfera psico affettiva del paziente (Burt et al, 2004; Robinson et al, 2000) ed è uno dei problemi che influenza negativamente lo stato di salute (Ene et al, 2006).
In primo luogo occorre che il paziente sia a conoscenza della possibilità che il problema si sviluppi nel post operatorio e gli interventi per gestire il problema stesso.
A questo proposito un colloquio con l’urologo e il rilascio di un opuscolo prima dell’intervento può essere utile, durante il colloquio è bene che venga spiegata la possibilità di miglioramento del problema già nel pre-operatorio attraverso la tecnica chirurgica “nerve sparing” (Patterson, 2004).
La riabilitazione può iniziare dalla sesta settimana dopo l’intervento chirurgico; tra i molteplici supporti a questo problema esiste l’utilizzo di alcuni farmaci: sildernalfil (Viagra®), vardenalfil (Levitra®), tadalafil (Cialis®) (Starnes & Sims, 2006), la loro efficacia è possibile solo se entrambi i nervi deputati all’erezione non sono stati né lesi né rimossi durante l’intervento chirurgico.
Un aspetto negativo del supporto farmacologico è costituito dagli effetti collaterali quali cefalea, vampate di calore, arrossamento del volto, dispnea e la presenza di controindicazioni quali ad esempio l’utilizzo di nitrati; questi farmaci dovrebbero essere utilizzati con dovuta cautela in pazienti fumatori, diabetici, ipertesi, affetti da retinopatie e ipercolesterolemia (American Cancer Society, 2011). Altri interventi previsti nel post-operatorio comprendono trattamenti farmacologici (se presenti i nervi adibiti all’erezione), dispositivi a depressione posti intorno al pene per creare una depressione mediante aspirazione e l’impianto penieno (Starnes & Sims, 2006; American Cancer Society, 2011).
Affinché il paziente possa assimilare correttamente le informazioni è bene rilasciare l’opuscolo prima del ricovero per l’intervento chirurgico, uno strumento che può aiutare a raccogliere gli eventuali quesiti, dubbi e quindi eliminare anche le false credenze è un questionario scritto o un intervista mirata rilasciata o eseguita al momento dell’ingresso in unità operativa (Pieper et al, 2006).
La disfunzione erettile può portare, in alcuni casi, a problemi psicologici e quindi risulta necessario utilizzare un approccio cognitivo comportamentale con l’educazione relazionale di coppia incentrata sulla valorizzazione del rapporto sessuale durante tutto il corso della degenza (Robinson et al, 2000).
A questo proposito alcuni autori promuovono l’organizzazione, durante il ricovero, di lezioni di gruppo relative alla comunicazione su sessualità ed intimità includendo le valutazioni delle conoscenze personali e della consapevolezza di sé.
Una soluzione per affrontare questo compito è costituita dall’utilizzo di interviste guidate per facilitare il lavoro, sviluppare fiducia tra la coppia e fornire informazioni complete circa la sfera sessuale (Monturo et al, 2001).
Un’altra modalità suggerita da altri autori è quella di fornire al paziente un video educativo durante la degenza e alla dimissione per illustrare gli interventi legati al problema, in particolare deve mostrare la modalità di funzionamento dei dispositivi a depressione e l’impianto penieno (Sørlie et al, 2007; Starnes & Sims, 2006; Klein-Fedyshin et al, 2005).
L’organizzazione di follow up in ambulatorio è un buon metodo per monitorare l’andamento e il miglioramento del problema, a causa della tipologia e delicatezza del problema, l’utilizzo delle telefonate non risulta idoneo (Pieper et al, 2006).
Bibliografia
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- Burt, J., Caelli, K., Moore, K. N., & Anderson, M. (2005) .Radical prostatectomy: men’s experiences and postoperative needs. Journal of Clinical Nursing, 883–90
- Carpenito-Moyet L. J. (2010). Diagnosi infermieristiche: Applicazione alla Pratica Clinica (3rd ed. pp 183-194). Milano: Casa Editrice Ambrosiana.
- Decreto Ministeriale 14 settembre 1994, n° 739, Gazzetta Ufficiale 9 gennaio 1995, n°6, Regolamento concernente l’individuazione della figura e relativo profilo professionale dell’infermiere; https://www.ipasvi.it/professione/.
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