Essere infermieri in Italia nel 2017 non è facile. La nostra immagine equivale a quella di uno tutto fare; una sorta di tappabuchi della sanità peraltro anche a basso costo.
Nel resto del mondo e in Europa non è così, sulla carta abbiamo una formazione universitaria; abbiamo normative ed un profilo professionale che ci definiscono professionisti intellettuali, ma ciononostante regaliamo i nostri professionisti agli altri Paesi, per la scarsa ricettività occupazionale in Italia.
Cosa impedisce alla nostra professione, di fare il salto di qualità nel nostro paese? Qual è l’ostacolo insormontabile che ci tiene inchiodati in un limbo fatto di assoluta negazione delle nostre potenzialità?
Si è passati ad una formazione universitaria, traslando nei fatti, i vecchi corsi regionali all’interno dei corsi universitari; tanto è vero che ancora oggi ad insegnare nelle università troviamo ancora dei vecchi capo sala didattici.
Basta poi fare due esempi spiccioli per capire quanto questo sia a tutt’oggi vero:
- Ancora oggi nel 2017 in tutti i corsi universitari si spendono ore di lezione ed ore di laboratorio sul rifacimento del letto, sulla corretta esecuzione degli angoli, su come occuparsi dell’igiene del paziente sacrificando invece la rilevazione dei bisogni, la diagnosi infermieristica, la progettazione di un piano multidisciplinare e personalizzato di assistenza, la sua attuazione e la verifica dei risultati.
- I tirocini formativi in cui gli studenti invece di cimentarsi fin da subito con quanto sopra detto divengono forza lavoro a costo zero per tutte le attività domestico -alberghiere che sono di competenza delle figure di supporto.
Tutto questo fa si che ancora oggi dalle nostre università escano giovani, per carità sulla carta ben preparati, ma già demansionati e proni nel loro dna culturale.
Qualcosa non ha funzionato!
Il passaggio ad una formazione universitaria avrebbe dovuto far fare il salto di qualità definitivo per la nostra professione. Così non è stato.
E’ come se da un lato fosse stata progettata una Ferrari con un motore da 400 cavalli ma alla fine dell’assemblaggio sia in realtà uscita un’utilitaria traballante.
A questo punto sorge spontanea la domanda: possiamo cambiare tutto questo?
Può, nonostante tutto, la nostra professione evolvere definitivamente superando il gap accumulato in questi 20 anni?
A giudicare da quanto finora detto bisognerebbe optare per un deciso no, ma in fondo a questo buio si intravede un piccolo bagliore di luce capace di accendere una speranza seppur minima sulle sorti della nostra professione.
Questa luce è rappresentata, da tutti i professionisti, alcuni sono giovani, altri più anziani che dedicano il loro tempo libero all’informazione e alla ricerca in ambito infermieristico.
In alcuni casi sono nate associazioni molto attive come A.A.D.I. che si occupa sopratutto dell’aspetto legale del problema e della divulgazione del diritto.
Alcuni quotidiani on line come la nostra stanno dando anche loro un contributo importante divenendo un cassa di risonanza per il nuovo che tenta di affermarsi.
C’è un movimento di opinione che cresce e crea cultura, la cultura dell’infermieristica moderna.
Essere una ferrari da 400 cavalli o una traballante utilitaria?
Personalmente sono convinto che possiamo essere performante come la Ferrari.
Le mie convinzioni derivano dai vari commenti sui social, dal fervore che questo movimento infermieristico italiano sta compiendo.
Siamo ancora agli inizi; c’è tanta strada da percorrere, ma oggi stiamo lanciando le basi per il nostro futuro.
Non vogliamo essere il fanalino di coda della sanità italiana, ma vogliamo essere il trampolino di lancio.
Insieme si può!
Angelo De Angelis
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