Era sparita dal padiglione dove era ricoverata. E, purtroppo, era stata ritrovata cadavere all’alba del mattino seguente.
Pochi giorni fa la sentenza al tribunale di Macerata: assolto il medico che era ‘di guardia’ quella notte, condannata invece l’unica infermiera in servizio.
Era ricoverata presso quell’istituto, il Santo Stefano di Porto Potenza, da ben 40 anni.
Ma, probabilmente, nessuno dei familiari di Giuseppina Luzzi, disabile di 54 anni, si sarebbe mai aspettato di ricevere la notizia della sua morte per assideramento; mentre era al di fuori del padiglione che la ospitava. Senza nessuno che la accudisse o aiutasse. Eppure… è accaduto proprio questo.
Secondo quanto ricostruito dalle indagini della Procura di Macerata, la donna sarebbe sparita dal Padiglione C dell’istituto di riabilitazione intorno alle 22:00 del 19 dicembre 2011.
E le ricerche, iniziate intorno alle 24:00 (secondo l’accusa), avrebbero avuto esito negativo fino all’alba seguente; momento in cui Giuseppina, purtroppo già cadavere, sarebbe stata finalmente ritrovata.
È proprio per il ritardo dell’inizio delle ricerche e per la mancata vigilanza della paziente che il medico di guardia, Antonio Grandinetti (60 anni, di Potenza Picena), e l’infermiera Inna Parkhomenko (53enne russa, residente a Montelupone), sono stati portati sotto accusa e indagati per omicidio colposo.
Ma… nonostante il pm Stefania Ciccioli avesse chiesto per tutti e due la condanna ad un anno di reclusione, il giudice del Tribunale di Macerata Claudio Bonifazi ha deciso di assolvere il medico “per non aver commesso il fatto” in quanto, come riportato dall’avvocato difensore Savino Piattoni: “Grandinetti era stato avvistato verso le 23:30 del giorno della scomparsa. Aveva detto di cercarla e se non si trovava di chiamare i Carabinieri. Poi nessuno gli ha più fatto sapere nulla, tanto che credeva l’avessero ritrovata.”
Quindi il medico di guardia, miracolosamente “avvistato” in corsia, avrebbe dato delle sbrigative direttive sul da farsi (“ha detto di cercarla”… “di chiamare i Carabinieri”) e sarebbe poi tornato nella sua stanza, nell’assai poco trepidante attesa di qualcuno che gli facesse sapere qualcosa?
Sì, sembra proprio che sia andata così. Ma ringraziando Dio lui era tranquillo, tanto che addirittura “credeva che l’avessero ritrovata.”
Comunque… lui è stato pienamente assolto. Forse perché, come ha dichiarato il suo legale: “…ritiene di non avere colpe, ma è dispiaciutissimo per quello che è accaduto” (e ci mancherebbe pure che sia contento, caro avvocato!); e ciò è bastato.
Forse perché lui è “il medico”, mentre le altre figure, viste come TUTTOFARE, devono necessariamente fare tutto il resto, a prescindere dal proprio profilo; tra cui vigilare.
O forse perché c’era bell’e pronto qualcun altro molto più facile da condannare: l’infermiera Inna, assistita dall’avvocato Nicola De Cesare, che ha rimediato una condanna a sei mesi di reclusione.
Lungi da me voler creare altre inutili e sterili polemiche che hanno come oggetto le responsabilità (e magari il compenso!) cui sono soggette le due figure sanitarie, ma… vi esorto comunque a meditare, cari colleghi infermieri.
Meditate! Perché, lo ribadisco, la nostra è una categoria che deve ben riflettere a proposito del proprio ruolo in questa sanità. E che, soprattutto, deve darsi una bella svegliata…
Fonte: Cronache Maceratesi
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