Vediamo cosa ha deciso la Corte di Cassazione con riferimento a un caso concreto.
La Corte di Cassazione, con sentenza numero 47748/2018, ha respinto il ricorso presentato da un medico condannato nei primi due gradi di giudizio per aver colposamente causato la morte di un uomo, deceduto per un tamponamento cardiaco da rottura di dissecazione del segmento prossimale dell’aorta. L’altro medico indagato per la stessa vicenda era stato invece assolto in appello. Secondo l’accusa, i due non avevano identificato la patologia da cui era affetto il paziente, omettendo così di eseguire il necessario intervento chirurgico.
Tra le altre motivazioni addotte nel ricorso in Cassazione, il dottore lamentava che la Corte territoriale aveva dato per scontata l’esistenza di sintomi e di dolori che non erano documentalmente riscontrabili. In particolare, sosteneva di aver egli stesso effettuato al paziente una ecografia cardiaca, senza spingersi oltre. In quel momento, infatti, la diagnosi era unica e la terapia impostata aveva prodotto effetti positivi. A suo dire, dunque, non vi sarebbe stata alcuna sottovalutazione dei sintomi, né alcuna negligenza nell’applicazione dei protocolli di intervento. Ciò anche alla luce dello stato asintomatico del paziente, che avrebbe visto regredire il dolore retrosternale, nonché il blocco atriale da cui era affetto.
Ora, nei giudizi di responsabilità medica, se non esistono linee guida approvate ed emanate secondo il procedimento di cui all’articolo 5 della legge Gelli, si può fare riferimento all’articolo 590 sexies del codice penale solo nella parte in cui richiama le buone pratiche clinico-assistenziali.
Per la Corte di cassazione, in attesa che il complesso iter previsto dalla legge 24/2017 con riferimento alle linee guida risulti completo, rimane comunque ferma la possibilità di fare riferimento all’articolo 590 sexies al fine di trarre utili indicazioni di carattere ermeneutico. Una volta emanate le linee guida, tale norma “costituirà il fulcro dell’architettura normativa e concettuale in tema di responsabilità penale del medico”.
Considerata tale prospettiva, le linee guida attualmente vigenti, non approvate secondo il procedimento previsto dalla legge Gelli, potrebbero essere recuperate negli attuali giudizi di responsabilità medica, considerandole come buone pratiche clinico-assistenziali. A detta dei giudici supremi, tuttavia, si tratta di una “opzione ermeneutica non agevole” perché le linee guida sono raccomandazioni di comportamento clinico che derivano da un processo sistematico di elaborazione concettuale. In quanto tali, risultano profondamente diverse dalle buone pratiche clinico-assistenziali sia sotto il profilo concettuale che sotto quello tecnico-operativo.
Nella vicenda decisa dai giudici di Cassazione, comunque, anche volendo accedere alla tesi dell’equiparazione tra linee guida vigenti e buone pratiche, tale circostanza non avrebbe potuto comunque salvare il medico. Resta fermo, infatti, che l’articolo 590 sexies esclude la punibilità solo se sono state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali. Nel caso di specie, invece, il sanitario aveva agito con imperizia e negligenza, accertate dai giudici del merito nel corso del processo. Sono pertanto mancati due dei presupposti fondamentali per l’applicabilità della predetta norma.
Redazione Nurse Times
Fonte: www.studiocataldi.it
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