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Declino cognitivo, “proteina serratura” può bloccarlo

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Declino cognitivo: un aiuto da supplemento nutrizionale
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L’invecchiamento del cervello e il suo sintomo più inquietante, il declino cognitivo, rappresentano una delle sfide più importanti e complesse per la salute degli anziani, per il sistema sanitario e per il mondo scientifico. L’invecchiamento cerebrale, infatti, è il principale fattore di rischio di molte malattie, in primis le demenze, inclusa la più nota e diffusa, la malattia di Alzheimer.

Da quando è nata la medicina “scientifica” la ricerca ha cercato di definire le alterazioni del cervello che determinano o favoriscono il declino, sinora con scarsi risultati. Negli ultimi decenni è emerso che le alterazioni sono da ricercare nelle sinapsi, le strutture che permettono il passaggio del segnale nervoso (cioè dell’informazione) da un neurone all’altro, utilizzando molecole chiamate neurotrasmettitori.

In altre parole, si ritiene che il problema dell’invecchiamento cerebrale non sia rappresentato dal numero di neuroni che si perdono (molto meno di quanto ritenuto in passato), ma dal numero e dalla funzione delle sinapsi. Negli ultimi decenni numerosi studi hanno dimostrato che la funzione delle sinapsi nel cervello anziano è in realtà molto diversa da quello del cervello giovane o adulto.

Queste nuove conoscenze e gli scarsi risultati delle terapie disponibili hanno spinto un team di ricercatrici e ricercatori a esplorare nuove vie terapeutiche e in un recentissimo studio, frutto di una collaborazione tra il Centro di Neurobiologia dell’invecchiamento dell’IRCCS INRCA e la Sezione di Neuroscienze e biologia cellulare del Dipartimento di Medicina sperimentale e clinica dell’Università Politecnica delle Marche, dirette dal prof. Fiorenzo Conti con il fondamentale contributo del prof. Marcello Melone, e ricercatrici e ricercatori dell’Università di Catania (guidati dalla prof.ssa Daniela Puzzo, con il cruciale apporto della dott.ssa Maria Rosaria Tropea) e dell’Università Cattolica di Roma (diretti dal prof. Claudio Grassi) e pubblicato sull’importante rivista internazionale Aging Cell, si è fatto un significativo passo in avanti.

È stato infatti dimostrato che un tipo specifico di recettori (grosse proteine che interagiscono con i neurotrasmettitori, un po’ come la chiave nella sua serratura) influenza il neurotrasmettitore dopamina (recettori di tipo 3; D3). In breve, lo studio, in cui sono state utilizzate tecniche di biologia molecolare e di microscopia elettronica, elettrofisiologiche e comportamentali, dimostra che in topi adulti normali il blocco con farmaci del recettore o la sua rimozione genetica potenzia la sinapsi e, di conseguenza, la formazione di memorie.

Di grande interesse è l’osservazione che nei topi anziani il blocco dei recettori D3 annulla le alterazioni sinaptiche presenti, ripristina cioè la funzione sinaptica, e che topi che non possiedono recettori D3 per manipolazione genetica non presentano alterazioni delle sinapsi e deficit della memoria quando diventano anziani.

Questo studio riveste grandissimo interesse per le prospettive applicative, che potrebbero portare ad un arricchimento del nostro bagaglio terapeutico in tempi relativamente brevi, considerando che farmaci che bloccano i recettori D3 (antagonisti) sono già in fase di sperimentazione clinica, anche se per altre patologie.

“L’approccio collaborativo adottato ha permesso di esplorare nuove prospettive scientifiche ed arrivare alla pubblicazione di questo importante studio – afferma il rettore dell’UnivPM, prof. Gian Luca Gregori –, che sarà capace di aprire nuovi percorsi terapeutici e di portare ad un significativo miglioramento della vita delle persone”.

“Lo studio condotto dal professor Conti insieme ai ricercatori del Centro di Neurobiologia dell’invecchiamento dell’INRCA – affermano la direzione generale e scientifica dell’INRCA – evidenzia quella che è una importante missione di un IRCCS come l’INRCA: sviluppare la ricerca di base di qualità e proporre applicazioni innovative per i pazienti anziani. Dimostra inoltre come la collaborazione tra istituzioni e tra gruppi di ricerca diversi permetta quella sinergia necessaria al raggiungimento di obiettivi di grande rilevanza scientifica”.

Redazione Nurse Times

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