All’Azienda Ospedaliera di Verona mancano circa 200 infermieri. E all’Ulss 9 Scaligera non si vede un ricambio di personale dal biennio pandemico. Questa la situazione nelle due grandi aziende sanitarie veronesi, che insieme contano 5mila infermieri, equamente divisi. A denunciarla è la segreteria provinciale del Nursind, che si unisce alla protesta della categoria a livello regionale e nazionale.
“Gli infermieri sono pochi, per la mole di lavoro da sostenere. E sono pagati circa la metà rispetto ai colleghi in libera professione”, fanno sapere dal sindacato, che evidenzia come, seguendo questa tendenza, si rischi di avere dai 3mila agli 8mila infermieri in meno nel 2029. E lancia l’allarme sulla fuga di professionisti dalle strutture pubbliche verso migliori opportunità economiche (privato o estero). Una criticità che nasce dalla sempre più scarsa attrattività della professione, testimoniata dai numeri in vistoso calo di iscrizioni universitarie.
“Tra i problemi di base c’è l’inadeguatezza della retribuzione – spiega Simone Munaretto, dirigente di Nursind Verona -. Occorrerebbero 500 euro netti in più in busta paga per equiparare lo stipendio medio di un infermiere italiano a quelli europei. Invece siamo il fanalino di coda. Piccoli passi avanti sono stati compiuti nell’ultimo contratto collettivo, attraverso l’indennità infermieristica. La manovra del Governo prevede un aumento dell’indennità di specificità degli infermieri di circa 7 euro netti per il 2025, e di circa 60 euro netti dal 2026. Ma non basta per riempire il gap, ulteriormente acuito dall’inflazione”.
Per questo “prosegue la fuga degli infermieri dal pubblico”, aggiunge Munaretto, che entra nel dettaglio con un esempio: “Un infermiere di libera professione in sala operatoria arriva a guadagnare 50-55 euro netti all’ora, per uno stipendio mensile che può avvicinarsi ai 4mila euro, il doppio di quanto percepisce un collega ospedaliero di lunga esperienza. A volte si fugge perfino all’estero, dove gli infermieri italiani sono richiestissimi, soprattutto nel Regno Unito”.
Sempre Munaretto: “La soluzione alla drammatica situazione che si profila non può essere importare manodopera a basso costo da Paesi stranieri, dove non esistono titoli equipollenti a quelli richiesti in Italia per esercitare la professione”.
Nemmeno l’assistente infermiere sarebbe in grado di fermare l’emorragia. Così la pensa Guerrino Silvestrini, referente regionale Nursing Up, che considera l’introduzione della nuova figura “un pericoloso passo indietro”. E aggiunge: “Si affronta il problema dalla coda, anziché dalla testa. Prima si dovrebbe agire con provvedimenti per il riconoscimento professionale ed economico dell’infermiere, e poi ragionare sulle figure di supporto all’attività infermieristica. L’assistente infermiere non rappresenterà una soluzione alla carenza di personale infermieristico, ma solo un preoccupante autogol per la qualità dell’assistenza sanitaria”.
Tanto più che gli assistenti infermieri sono ancora tutti da formare. Se si cominciasse ora, le prime figure professionali sarebbero pronte solo tra due anni. Per Silvestrini, inoltre, non sono chiari i compiti da atribuire al nuovo profilo: “Abbiamo il fondato timore che si verifichi un’erosione delle funzioni infermieristiche, creando confusione su ruoli, responsabilità e compiti, con conseguente aumento del rischio clinico, a discapito del paziente. Non permetteremo che l’infermiere, laureato e altamente qualificato, venga via via sostituito dall’assistente infermiere, una figura ‘low-cost’ meno formata e meno qualificata”.
Redazione Nurse Times
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