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La sindrome di Lesch-Nyhan: la malattia che trasforma la persona nel cannibale di se stesso

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La sindrome di Lesch-Nyhan (LNS), nota anche come sindrome di Nyhan, sindrome di Kelley-Seegmiller o gotta giovanile, è una rara malattia ereditaria X-linked recessiva causata da un difetto dell’enzima ipoxantina-guanina fosforibosiltransferasi (HGPRT).

L‘HGPRT è l’enzima che catalizza la reazione di feedback che inibisce la sintesi delle basi puriniche (agendo su PRPP sintetasi e su amidofosforibosiltransferasi). Questo difetto comporta la mancanza di controllo lungo la via principale di sintesi causando l’accumulo di prodotti (nucleotidi purinici) e anche dei prodotti del loro catabolismo (acido urico).
Esistono anche forme più lievi in cui la via di feedback non è totalmente assente, ma possiede una ridotta attività enzimatica. Questa sindrome colpisce quasi esclusivamente i bambini maschi. Si manifesta verso i due anni e presenta iperuricemia, deficit neurologico grave, tendenza all’automutilazione e, in alcuni casi, artrite gottosa.

Fin dal 1971 il Professor Nyhan aveva descritto le caratteristiche della Malattia LN con il termine “fenotipo comportamentale”.

Di seguito sono elencati i principali sintomi della sindrome:

  1. Si possono osservare piccoli cristalli arancioni nei pannolini;
  2. Alterazione nello sviluppo motorio: a 8-9 mesi il bambino non riesce stare seduto, non si muove “a carponi”, non è in grado di camminare;
  3. Movimenti involontari anomali, di tipo coreico;
  4. Ritardo mentale, associato sicuramente in parte all’accumulo delle purine per l’alterato metabolismo delle stesse;
  5. Comportamento autolesivo (automutilazione) tipico, con tendenza a mordersi dita, labbra, cavità orale. Una possibile spiegazione di questo comportamento potrebbe essere identificata con l’ipotesi che il deficit enzimatico sia associato alla riduzione di dopamina, innescando i comportamenti autolesionistici.

La terapia è effettuata con allopurinolo o con inibitori della xantina ossidasi. Questi riducono l’iperuricemia ma non migliorano il quadro neurologico.
La malattia si caratterizza da uno specifico comportamento di difficile comprensione.

Fin dal 1971 il Professor Nyhan aveva descritto le caratteristiche della Malattia LN con il termine “fenotipo comportamentale”.
E’ importante sottolineare che:

  • i problemi di comportamento sono da considerare “the main” ovvero la specificità centrale della malattia;
  • non si parla più di ritardo mentale in senso generico (e tanto meno di ritardo mentale severo) ma si descrivono problemi specifici per quanto concerne l’attenzione e la programmazione delle funzioni esecutive.

Il Dottor Visser, esperto in questa rarissima sindrome elenca alcune caratteristiche:

  1. Nella malattia LN i problemi neurologici e di comportamento sembrano essere fondati su una disfunzione dei gangli della base;
  2. Per lo sviluppo del fenotipo classico della Malattia LN sembra essere cruciale una riduzione significativa della dopamina in epoca molto precoce;
  3. Non è ancora certo se le anomalie a livello neuronale si situino a livello strutturale o funzionale;
  4. È probabile che una parte del fenotipo sia conseguenza di processi secondari di compenso, conosciuti come neuroplasticità.

Secondo il Dottor Visser, in generale, i gangli della base, in connessione con la corteccia centrale, sono fondamentali per la selezione dei comportamenti desiderati (wanted behaviours) e per l’inibizione dei comportamenti non desiderati (unwanted behaviours). Ha parlato di “programmazione dei comportamenti desiderati”.

Quando Michele era ancora piccolo, è stato per noi molto importante capire che:

  • qualunque situazione può produrre il comportamento di farsi del male o fare male ad altri e il male non è solo fisico;
  • i malati fanno cose che non vorrebbero fare (e spesso “il contrario” di ciò che vorrebbero fare) e loro stessi hanno paura dei loro comportamenti.

Si tratta certamente di un comportamento compulsivo (“E’ la Nyhan che mi comanda” ha detto più volte Michele) e dissociato sia dall’umore che dall’ideazione, che può indirizzarsi a se stessi e agli altri.
La prima questione che vogliamo porre concerne la terminologia corrente per descrivere i disturbi del comportamento nella forma classica della Malattia LN:

  • self-injury
  • automutilazione
  • Autodistruttività
  • Aggressività

Michele ha cominciato a farsi del male poco dopo i due anni, battendo la testa contro il muro o contro lo schienale della sua seggiolina con le ruote e, dopo qualche mese, ha cominciato a mordersi prima le mani e poi le labbra.

Una delle sue prime parole è stata “co”, per domandare i “manicotti” che riducendo la flessione dei gomiti gli impedivano di portarsi le mani alla bocca. Quando ha cominciato a mordersi le labbra era disperato, e noi con lui, finché non è stata trovata una soluzione (un ciuccio attaccato, con un sistema di elastici, a un cappellino con la visiera).
Ci domandiamo: i meccanismi neurologici che stanno alla base dei comportamenti di automutilazione hanno una specificità rispetto all’insieme dei comportamenti LN?

Il malato danneggia se stesso e in particolare il proprio corpo perché è l’oggetto più vicino, più disponibile (“a portata di mano” e ovviamente di denti!) o perché ha una specificità in quanto tale?

Senza dubbio, l’automutilazione, strettamente intesa, è la manifestazione più drammatica nei suoi effetti, la più dolorosa e visibile, e quindi la più conosciuta, della malattia nella sua forma classica. L’automutilazione potrebbe essere l’espressione, certo la più drammatica, di un disturbo più generale che riguarda l’inibizione dei comportamenti desiderati e l’attivazione dei comportamenti non desiderati?

Attualmente appare più corretto usare il termine COMPORTAMENTO LESCH-NYHAN, in attesa che la comprensione dei meccanismi di funzionamento implicati conducano a una definizione condivisa scientificamente fondata.

Proviamo ad ascoltare le famiglie e i malati.

A Torino, Raffaele, 38 anni, dice: “Più mi dite di non farlo più lo faccio” e ancora “Io faccio il contrario” e Simone, 18 anni, conferma perentoriamente “il contrario”.

Potrebbero i comportamenti di automutilazione essere inclusi in una gamma più vasta di comportamenti di farsi del male e di fare del male?
Ci chiediamo: allargare l’attenzione su tutti i comportamenti Lesh-Nyhan potrebbe facilitare la comprensione delle situazioni di rischio e la gestione di comportamenti altrimenti “incomprensibili” (considerato che le occasioni di farsi/fare del male sembrano infinite)?

Questo approccio potrebbe forse portare a proteggere meglio le persone malate e a supportare le capacità e il senso di competenza delle famiglie e dei caregiver consentendo loro di adottare efficaci strategie di prevenzione e di gestione, con gran sollievo per tutti?

Ecco qualche esempio:

  1. Michele, accompagnato dai suoi genitori, partecipa a un viaggio di istruzione organizzato dal suo Liceo a Vienna. Alla fine della gita, la sera prima della partenza, sua mamma gli raccomanda di lasciare tranquillo il papà , che dovrà guidare la macchina tutto il giorno seguente. Michele comincia a chiamarlo e si agita finché la mamma non gli impedisce di urlare mettendogli la mano davanti alla bocca. Solo allora Michele può addormentarsi. La madre ha imparato a non dire niente affinché lui non abbia l’impulso a fare esattamente il contrario di quello che gli si chiede.
  2. Per giocare e per gli apprendimenti a partire dalla scuola elementare Michele ha utilizzato un computer con tastiera modificata e un copritastiera in metallo di spessore ridotto per evitare che potesse ferirsi le dita infilandole fra i tasti. Il bordo della tavola era protetto con gommapiuma. Durante la scuola media, è stata creata una nuova griglia copri-tastiera sprovvista del foro in corrispondenza della freccia di cancellazione (backspace). In effetti, terminata con fatica la scrittura di una parola o di una frase, partiva l’impulso a cancellare tutto. Il tasto “canc” (cancellare) invece poteva restare disponibile e scoperto, perchè, in questo caso, per cancellare ci vogliono due gesti (tornare indietro con la freccia e poi cancellare) e questo permette che l’impulso non parta e quindi la situazione possa essere gestita.
  3. Michele giocava volentieri al PC con giochi in cui poteva impersonare personaggi a lui noti come Indiana Jones o Harry Potter : il problema era superare le prove perché anche nel gioco non si difendeva dagli attacchi (fuoco o magie) e cadeva nei precipizi o trappole (stava fermo o agiva in modo contrario alla “salvezza” del personaggio). La mamma ha scaricato le modalità “GOD”che rende l’eroe invulnerabile. Di conseguenza Michele poteva agire nel modo corretto e superava con soddisfazione i livelli del gioco.
  4. Esempio di “non azione”: nelle situazioni di gruppo (in classe o durante il tempo libero) quando veniva chiesto se qualcuno volesse dire o chiedere qualcosa, Michele alzava la mano o rispondeva “ io” e poi faceva scena muta. Succede qualcosa di simile quando chiede di parlare al telefono con qualcuno e poi non dice niente. I suoi fratelli al telefono adottano questa strategia: parlano con lui normalmente anche se lui tace e non sollecitano risposte, dopo qualche istante Michele può intervenire.
  5. Qualche esempio di comportamento piuttosto generalizzato:
    1. è molto difficile vestire o svestire un ragazzo LN se è in ritardo o se ha urgenza di andare in bagno;
    2. I bambini/ragazzi con malattia LN:
      1. esprimono la paura di gridare nei posti dove è richiesto il silenzio (per es. in chiesa o durante un convegno);
      2. ogni volta che per malattia o incidente si produce sul corpo un punto dolente agiscono in modo contrario al sollievo e si accaniscono sulla fonte di dolore;
      3. non tollerano la noia, l’attesa, i disguidi, i cambiamenti di programma. A chi fa notare che è normale dover aspettare il proprio turno dal dottore rispondono “Lo so”, ma anche, riferendosi alla lamentela, “E’ la Nyhan che me lo fa dire” .
  6. Quando Michele aveva 9 anni, in classe l’insegnante aveva parlato del Muro del Pianto a Gerusalemme. La sua insegnante di sostegno ebbe l’idea di fare un Muro degli Sputi. Questa autorizzazione a sputare (con i limiti di luogo previsti) gli ha consentito di smettere il suo comportamento e da allora non ha mai più sputato.
  7. Adesso che è adolescente Simone ha molti comportamenti LN, ma durante gli anni dell’infanzia non ha mai avuto comportamenti autolesivi, e non si è mai morsicato. Durante la scuola elementare in un tema in classe Simone scrive : “la felicità è un mondo senza spigoli”. La percezione del pericolo e la sofferenza-angoscia erano in lui ben prima dell’apparire dei comportamenti LN.

Paola dice: “Potrei fare tantissimi esempi, da scriverci un libro. In ogni caso individuare la causa del tormento, sviare l’attenzione da essa verso qualche azione/pensiero alternativi normalmente ha buoni risultati. Senza perdere la calma (se ci si riesce), arginando, fermando… Ci sono comunque tante cose che non capisco! Per esempio, si dice che i nostri ragazzi hanno problemi nella programmazione delle funzioni esecutive del movimento, ma, quando il comportamento compulsivo parte, allora il movimento è molto preciso, a volte al millimetro!! E questo alza ancora il rischio.”

Cosa si può fare? Qualche spunto per la discussione

  • I malati LN in genere hanno un carattere aperto, buone capacità sociali e di humor e con il loro sguardo catturano l’attenzione e l’interesse degli altri. Sono dei charmeurs. Come dice il Professor Nyhan, anche queste caratteristiche fanno parte del fenotipo comportamentale della malattia. Si tratta forse di un adattamento finalizzato alla sopravvivenza perché sicuramente il malato LND ha bisogno di molto aiuto da parte degli altri per ridurre i rischi derivanti dalla malattia.
    Tuttavia proprio a causa dei suoi comportamenti, il malato LN è spesso preda di profonde angosce:
  • l’angoscia di non essere contenuto;
  • l’angoscia di non essere compreso e capito.

Queste angosce non possono essere negate o misconosciute

Strategie per la gestione dei comportamenti LND

  • Azioni da evitare
  • Strategie da adottare

A) Azioni da evitare : COSA NON AIUTA

  • Sgridare /insultare;
  • Picchiarlo se lui ci picchia o picchia altri o dà dei pugni;
  • Dare ordini e proibizioni v. Raffaele che dice: “Più mi dite di non farlo più lo faccio”;
  • Mostrarsi impauriti e insicuri;
  • Minimizzare/ignorare senza fare niente quando ci si accorge che il malato ha paura o si sente in pericolo;
  • Attirare l’attenzione sia sul comportamento desiderato o richiesto sia sui pericoli possibili. In altre parole, bisogna evitare di attirare l’attenzione su ciò che può fare che l’impulso parta, quindi non dire “non ti preoccupare per questo” oppure “non fare questo” oppure “per piacere fai quest’altro”. Per es. se c’è una finestra aperta, il bambino può gettare fuori degli oggetti, è meglio non dire niente, se l’adulto con tranquillità passa davanti alla finestra l’impulso si smorza.

B) Strategie da adottare COSA AIUTA

  • Prevenire i rischi e le situazioni di pericolo in ogni occasione compresi gli atti medici e la scelta/modifica/adattamento degli ausili (carrozzina, letto, bagno, accesso al computer e agli altri ausili tecnici);
  • Trovare sistemi di contenimento. I sistemi fisici (manicotti, fasciature, guanti….) devono essere sempre a disposizione e poter essere chiesti,. L’obiettivo non è ridurre/eliminare l’uso dei contenimenti ma essere/stare tranquilli per poter vivere e partecipare
  • Sapere di poter essere controllati, tenuti sott’occhio in sicurezza
  • Fermare, bloccare il comportamento
  • Tranquillizzare (= « ho capito, lo so, non ti lascerò farti/fare del male »)
  • Mostrare sicurezza
  • Individuare la causa del “tormento” e deviare l’attenzione verso attività/pensieri alternativi (distrarre)
  • Intervenire se il bambino/ragazzo ha paura o se ci comunica che c’è qualche “pericolo” nell’ambiente (per es. allontanare il bambino dicendo che anche noi abbiamo visto l’angolo del tavolo o della finestra)
  • Riconoscere il comportamento LN, esplicitarlo, nominandolo
  • Parlare della malattia (quando era piccolo Michele aveva una piccola bambola di stoffa morbida, si chiamava Nyhan, spesso veniva buttata per terra quando era arrabbiato con la sua malattia)
  • Ridurre e gestire l’imprevisto
  • Usare leggerezza, ironia, humor, paradosso
  • Evitare le situazioni troppo aperte e non strutturate (è utile avere delle cose da fare), evitare le domande troppo dirette sulle emozioni. Per parlare delle cose difficili aiuta usare un « terzo », un prodotto culturale come fiabe, racconti, biografie, video, testi di canzoni, musica, arte, fumetti (la scuola offre un enorme serbatoio di opportunità)
  • Uso spontaneo ma consapevole della comunicazione non verbale

E’ fondamentale AVVIARE PRECOCEMENTE UN PROGETTO PER SOSTENERE ED ESPANDERE LA COMUNICAZIONE anche attraverso strategie, tecniche, ausili di Comunicazione Aumentativa Alternativa. La comunicazione permetterà di capirsi, di farsi capire, di meglio gestire le situazioni di difficoltà e in particolare i comportamenti LN.

Assicurare l’INFORMAZIONE sulla MALATTIA e sul MALATO:

  • in situazione di emergenza (es. Ambulanza, Pronto Soccorso)
  • in situazione programmate (es. cambio di scuola, esperienze di vacanza ..)

DIFFUSIONE capillare delle INFORMAZIONI in tutti i contesti di vita e a tutti i caregiver per la comprensione della Malattia e delle strategie per contenere e gestire i comportamenti LN.

ASCOLTARE I MALATI (anche i bambini) E LE FAMIGLIE. Sollecitare le famiglie a condividere le proprie difficoltà e le strategie che hanno trovato per far fronte alla malattia, a parlare di sé in quanto famiglie (considerando anche le difficoltà dei fratelli e delle sorelle) senza vergogna. L’Associazione può svolgere un ruolo molto importante, ad esempio favorendo iniziative “genitori per genitori”. Anche i medici per lavorare bene hanno necessità di ascoltare le famiglie.

Partecipare alla vita della comunità (favorire le condizioni per esperienze inclusive a livello scolastico, ricreativo, sportivo ….) e contemporaneamente avere esperienze di confronto e rispecchiamento con altri malati e famiglie, spontanee o all’interno della vita associativa (Francoise Dolto, famosa pediatra e psicoanalista francese, diceva: ai bambini malati e disabili bisogna dire “Tu hai chi ti ama, chi ti ascolta, non sei solo”, ma anche “tu non sei solo, ci sono altri come te, non sei l’unico che devi vivere con la tua malattia”, ovvero “non sei solo, non sei il solo”. Lo stesso messaggio deve essere dato alle famiglie)

I malati possono diventare “testimonial” della propria malattia, per la diffusione delle informazioni e per sostenere la ricerca scientifica, all’interno della rete malattie rare (anche come strumento di identità e consapevolezza di sé).

Simone Gussoni

Sitografia:

www.lesch-nyhan.eu

www.osservatoriomalattierare.it

wikipedia.it

Foto: slideplayer.it

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