L’utilizzo di una tecnica diagnostica (PET-MRI) che combina immagini in 3D acquisite con la PET (tomografia a emissione di positroni) con quelle della risonanza magnetica ha migliorato la cura di 3 pazienti su 10 affette da tumore della mammella allo stadio inziale. La ricerca è stata presentata oggi durante la 14esima edizione della Conferenza Europea sul Tumore al Seno (EBCC14), in corso a Milano.
Le scansioni ottenute dalla tomografia a emissioni di positroni (PET) elaborate con quelle della risonanza magnetica hanno consentito ai medici di individuare i segnali che il tumore aveva iniziato a diffondersi, con la conseguenza che le pazienti hanno potuto beneficiare di cure come la chemioterapia o di un differente tipo di chirurgia.
La ricerca è stata presentata dalla dottoressa Rosa di Micco, chirurga senologa all’IRCCS San Raffaele di Milano. “L’approccio standard per le pazienti con tumore della mammella al primo stadio – ha dichiarato la dottoressa – include la mammografia, l’ecografia e in alcuni casi la risonanza magnetica. La tecnica PET-MRI è un approccio relativamente nuovo, generalmente utilizzato solo nella ricerca clinica”.
Il nuovo studio condotto dal professor Oreste Gentilini, primario dell’Unità di Chirurgia della Mammella e coordinatore Breast Unit dell’IRCCS San Raffaele, include 205 donne che sono state seguite all’ospedale San Raffaele tra luglio 2020 e ottobre 2023. Prima di offrire alle pazienti la chirurgia conservativa della mammella per rimuovere il tumore, ogni donna si è sottoposta a un esame PET-MRI in modo da individuare i segni della crescita del tumore nella mammella malata, nell’area circostante e nel resto del corpo.
Per 57 pazienti su 205 (27.8%) il piano di trattamento è stato modificato a seguito dei risultati ottenuti con l’innovativa tecnica di imaging. Di queste, 18 donne si sono sottoposte a chemioterapia come primo trattamento e per le restanti 39 gli approcci chirurgici sono stati differenti e hanno incluso la mastectomia, la rimozione di linfonodi aggiuntivi e chirurgia di entrambe le mammelle. In 12 delle 57 pazienti (21%) il tessuto addizionale tumorale che è stato rimosso è risultato essere benigno.
“La nostra ricerca – ha dichiarato la dottoressa Di Micco – suggerisce che per le pazienti con neoplasia allo stadio iniziale l’inserimento aggiuntivo dell’esame PET-MRI nella gestione standard potrebbe aiutare gli specialisti a decidere in maniera più informata il miglior percorso di cura. In ogni caso, i risultati di questa tecnica sono caratterizzati da un’alta percentuale di falsi positivi e dovrebbero essere ulteriormente confermati da altri test”.
“Questi sono i primi risultati di uno studio in corso – ha aggiunto il professor Gentilini -, ma suggeriscono che un esame PET-MRI potrebbe affinare il trattamento per alcune donne con tumore al seno. Lo studio evidenzia che questo è un campo in cui altra attività di ricerca potrebbe portare vantaggi”.
La dottoressa di Micco e i suoi colleghi stanno anche avviando un nuovo studio che impiega un diverso approccio della scansione PET-RMI che potrebbe aiutare a individuare le cellule di tumore mammario che crescono in risposta all’ormone estrogenico femminile. Questo potrebbe essere particolarmente utile alle pazienti con neoplasia mammaria lobulare, più difficile da individuare con la mammografia o l’ecografia.
Il professor Michail Ignatiadis dell’Istituto Jules Bordet di Bruxelles, in Belgio, è il presidente della 14esima edizione della European Breast Cancer Conference (EBCC14) e non è coinvolto nella ricerca. Il professore ha evidenziato: “Una volta completato, questo sarà uno dei più ampi studi che trattano l’impiego della PET-MRI prima della chirurgia per le pazienti con tumore al seno allo stadio iniziale. Ci aspettiamo altri risultati da questa ricerca, ma questi dati suggeriscono che la PET-MRI potrebbe contribuire a individuare i segni precoci che il cancro al seno si sta espandendo. Riconoscere questi indicatori potrebbe dare alle pazienti migliori possibilità di sopravvivenza a lungo termine. Ora abbiamo bisogno di studi che in modo prospettico testino questa ipotesi”.
Redazione Nurse Times
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