Il paziente testimone di Geova può “prestare il consenso all’intervento chirurgico proposto dai medici e nello stesso tempo rifiutare, a motivo della propria fede religiosa, il trattamento di emotrasfusione eventualmente conseguente a tale intervento“. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza numero 29469 del 4 dicembre 2020.
La Cassazione ha quindi accolto il ricorso presentato da una giovane donna testimone di Geova che nel 2005, prima e durante un intervento di laparotomia esplorativa, era stata sottoposta a ben sette trasfusioni di sangue nonostante il suo esplicito rifiuto. La Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza di Appello secondo la quale il consenso che la donna aveva dato ai medici per l’intervento di laparotomia implicava automaticamente anche l’accettazione dell’emotrasfusione in caso di necessità. Ma, secondo la sentenza, “la dichiarazione anticipata di dissenso all’emotrasfusione, che possa essere richiesta da un’eventuale emorragia causata dal trattamento sanitario, non può essere neutralizzata dal consenso prestato a quest’ultimo”.
“Il paziente Testimone di Geova, che fa valere il diritto di autodeterminazione in materia di trattamento sanitario, a tutela della libertà di professare la propria fede religiosa, ha il diritto di rifiutare l’emotrasfusione pur avendo prestato il consenso al diverso trattamento che abbia successivamente richiesto la trasfusione, anche con dichiarazione formulata prima del trattamento medesimo, purché dalla stessa emerga in modo inequivoco la volontà di impedire la trasfusione anche in ipotesi di pericolo di vita”.
Testimone di Geova può rifiutare trasfusione: il caso di Michela
Un medico, quindi, non può trasfondere sangue ad un paziente contro la sua volontà, anche se è in pericolo di vita. A ribadirlo c’è stata anche una sentenza del Tribunale di Tivoli. Il caso in questione è quello di Michela.
La donna, originaria di Montelanico, è deceduta a febbraio 2013 all’ospedale “San Giovanni Evangelista” di Tivoli. Il giudice, secondo quanto riporta tiburno.tv, ha condannato in primo grado a due mesi di reclusione col beneficio della pena sospesa il medico del nosocomio di via Parrozzani che le somministrò 5 sacche di sangue.
Nel 2013 la giovane donna di Montelanico, colta da una grave insufficienza respiratoria, venne trasportata all’ospedale di Colleferro, quindi trasferita d’urgenza a quello di Tivoli. Michela, quale testimone di Geova, non rifiutava di essere curata, ma voleva che questo fosse fatto rispettando la sua obiezione di coscienza religiosa alle trasfusioni di sangue. Anche se incosciente, la paziente aveva sottoscritto in una apposita Direttiva Anticipata le sue volontà, ignorate dai medici che la trasfusero una prima volta e poi per altre quattro volte. A conclusione dell’ultima trasfusione Michela spirò a soli 36 anni.
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Fonte: La Stampa
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