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Tor Vergata, lite in sala operatoria tra chirurgo e assistente: volano parole grosse (e non solo?). Mistero sulla sorte del paziente

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“Hai capito come funziona questo c… di intervento? Imbecille. Se tu non mi parli, come c… lo capisco? E così difficile per te capire una cosa genere? Ti ho chiesto quattro volte dove sta la pinza 4. Devi parlare, imbecille. Vergognati”. È quello che si sente nel video, diffuso dal Messaggero, di un intervento in sala operatoria al Policlinico Tor Vergata di Roma.

Una lite, avvenuta il 6 giugno, tra un chirurgo e la sua assistente. Ad aggravare la situazione, ci sarebbe il fatto che il paziente in quel momento sul tavolo della sala operatoria sarebbe morto. Non ci sarebbero però elementi per collegare il decesso alla lite.

Nel video si sente la voce femminile dell’assistente: “Si vergogni lei, invece”. Frase a cui il medico replica: “Togliti dal c… Te ne devi andare e non ti voglio mai più vedere in sala operatoria”. Quidi si sente un rumore, come di un colpo, che alcune fonti descrivono come uno schiaffo, altre come un pugno. La donna che dice: “Va bene”. E poi esce. Sarebbe andata in Pronto soccorso, ricevendo una prognosi di 15 giorni.

Ora il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, promette sanzioni nei confronti del medico: “Abbiamo convocato la commissione disciplinare per la prossima settimana. Spero che faccia altrettanto l’Ordine dei medici. Questo chirurgo che ha pronunciato certe frasi e picchiato la sua assistente non deve più entrare in sala operatoria, né entrare in contatto con gli studenti”.

Il chirurgo in questione è Giuseppe Sica, professore ordinario di Chirurgia a Tor Vergata. Il direttore sanitario Andrea Magrini conferma: “C’è un’indagine interna. Abbiamo chiesto delle relazioni agli interessati e li abbiamo convocati per lunedì. I chirurghi vivono situazioni di tensione e di stress. Bisogna capire cosa è avvenuto”. E il paziente dell’operazione? Magrini resta sibillino: “Questo non glielo dico, per ora”.

Il diretto interessato, tuttavia, nega tutto: “Mai dato un pugno in tutta la mia vita. A nessuno. Sono un privato cittadino e lei pure. Abbiamo avuto un confronto, benché aspro. Ci siamo chiariti e sono fatti nostri”. La dottoressa, tramite i suoi legali, commenta: “È una questione personale tra colleghi che si conoscono e lavorano insieme da oltre dieci anni. È una vicenda privata, che chiariremo io e lui”.

Secondo il Comitato di garanzia interno, invece, si tratta di “un atto di violenza di un professionista uomo su una donna”.

I chiarimenti del diretto interessato

“In sala operatoria si combatte per la vita e io sono responsabile. Riconosco che i toni usati nei confronti di una collega assistente durante quell’intervento, protrattosi per oltre cinque ore, sono stati eccessivi”. Così, in una nota, il professor Giuseppe Sica, docente ordinario di Chirurgia.

Sempre Sica: “In sala operatoria si combatte per la vita. E io voglio vincere, sempre. Viviamo in un mondo che spesso sembra capovolto. Un mondo dove si giudica con superficialità ciò che non si conosce. Eppure ci sono luoghi, come la sala operatoria, in cui non si può permettere né leggerezza né approssimazione”.

E ancora: “Mi trovo a intervenire pubblicamente perché sento il dovere di raccontare cosa accade davvero quando si entra in sala operatoria per affrontare un caso clinico complesso, come quello su cui stavo operando di recente. Un intervento lungo, delicato, che richiedeva altissima concentrazione e prontezza di riflessi”.

Prosegue il dottro Sica: “Come chirurgo capo-equipe, operavo attraverso una consolle robotica, strumento all’avanguardia che consente precisione millimetrica. Al tavolo operatorio, come avviene in tutte le strutture moderne, erano presenti colleghi assistenti, professionisti, donne o uomini non fa differenza, il cui compito è agire in piena sinergia con chi guida l’intervento. La sala operatoria è un teatro: un atto unico, irripetibile. È il fronte dove si combatte davvero tra la vita e la morte. In quei momenti, ogni secondo conta”

Conclude il chirurgo: “La responsabilità è mia, totalmente mia. Anche se qualcuno inciampa, anche se qualcosa non funziona, anche se si avvicina il pericolo. E se percepisco un rischio concreto per il paziente, è mio dovere reagire. Sì, anche con fermezza. Sì, anche con durezza. Il nostro ordinamento giuridico chiama questo comportamento ‘stato di necessità’, ed è un’esimente assoluta. In quei momenti si fa ciò che serve per salvare una vita. Punto”.

Redazione Nurse Times

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