Benvenuti al primo appuntamento con Time Travel, lo spazio di Nurse Times dedicato alla storia e all’evoluzione della professione infermieristica. Questa rubrica é dedicata all’analisi della situazione professionale attuale dell’infermiere in Italia confrontata con quella del passato.
In questo primo appuntamento verrà confrontata la formazione infermieristica di base attuale con quella che era presente nel recente passato pre-universitario.
La professione infermieristica ha compiuto passi da gigante negli ultimi 20 anni: il mansionario è stato abrogato, è stato creato un profilo professionale, un codice deontologico ed è stato finalmente realizzato un percorso di studi universitario che ha reso a tutti gli effetti l’infermiere un professionista intellettuale al pari di un avvocato, un ingegnere o un medico.
Ora l’infermiere non deve più frequentare un semplice corso regionale che in passato permetteva agli allievi di ottenere un introito utile ad affrontare la carriera scolastica ma deve pagare migliaia di euro in tasse universitarie, acquistare libri di testo e dispense ed essere sottoposto ad almeno tre anni di lotta per la sopravvivenza nei quali potrà tranquillamente dimenticare ogni forma di vita sociale sfinito dai ritmi frenetici di un mini corso di laurea in medicina compresso in 36 mesi.
I giovani e speranzosi studenti imparano a memoria ogni minimo particolare anatomico, ogni patologia più assurda ed ogni formula della statistica medica. Ma conoscere l’anatomia del setto pellucido é davvero fondamentale? Saper spiegare il funzionamento del muscolo pterigoideo esterno e davvero indispensabile considerato che un infermiere che svolgerà il proprio operato in una realtà ospedaliera non avrà bisogno di tutte queste nozioni?
Ma varrà la pena fare tutti questi sacrifici? Il lavoro che quotidianamente deve essere espletato da un infermiere di corsia è davvero quello che viene insegnato nelle università? È davvero necessario rendere l’infermiere un professionista intellettuale per permettere l’evoluzione della professione?
Ogni giorno viene ripetuto agli studenti che l’infermiere è responsabile dell’assistenza, che deve pianificare l’assistenza utilizzando lo strumento del problem solving e le diagnosi infermieristiche.
Ma in quali realtà è possibile fare tutto ciò?
Nelle vecchie scuole regionali veniva detto chiaramente agli studenti che il mestiere che si sarebbe intrapreso non sarebbe stato particolarmente rinomato e che si sarebbe basato su semplici competenze tecniche mentre il corso di laurea attuale ha come punto di forza la pianificazione assistenziale ed altre pratiche burocratiche che nessuno studente ha mai potuto mettere in pratica ne in tirocinio ne tantomeno una volta laureato.
Le diagnosi infermieristiche rappresentano sicuramente un motivo di vanto per la professione ma non applicarle arreca un danno rilevante alla salute delle persone che assistiamo? È possibile svolgere la professione ugualmente senza utilizzare tale strumento? Ma soprattutto come è possibile pensare di poter modificare un sistema rodato che va avanti da decine di anni e che basa il lavoro sulla suddivisone di compiti in reparto introducendo concetti quali assistenza personalizzata o culturalmente congruente?
Analizzando le competenze richieste alla stragrande maggioranza degli infermieri che esercitano in realtà cliniche ospedaliere a bassa complessità assistenziale non è possibile riscontrare alcuna evoluzione professionale.
Le attività di reparto continuano ad essere organizzate secondo una rigida suddivisione dei compiti senza considerare minimamente le reali necessità di ogni singolo paziente; un infermiere somministra le flebo, un secondo infermiere preleva campioni ematici, un altro rileva le temperature corporee a tutti i pazienti (anche a chi preferirebbe dormire non avendo mai avuto la febbre in vita sua) svegliandoli alle 6 del mattino e tutti gli infermieri aiutano l’operatore socio sanitario a rifare i letti, a distribuire le colazioni e a compiere tutte quelle mansioni domestico alberghiere per le quali non è richiesto un titolo di studio universitario.
Pertanto appare evidente che tutto l’entusiasmo proferito dai rappresentanti dei corsi di laurea in infermieristica durante le visite organizzate nei licei o negli stand degli “Open Day” sia finalizzato ad arruolare giovani candidati ignari di quello che andranno ad incontrare effettivamente in ospedale.
Ma perché viene generata tutta questa pseudo informazione riguardante la professione?
Sicuramente non perché vi sia carenza di personale, considerato che migliaia di infermieri sono disoccupati o precari. Forse perché ora per accedere al corso di laurea che permetterà al candidato di diventare dottore in infermieristica occorre pagare profumatamente mentre nel secolo scorso era totalmente gratuito?
Deve far riflettere anche la politica di rimandare gli studenti adottata da molte sedi universitarie. Durante il vecchio corso regionale se un allievo non era portato per il mestiere veniva da subito bloccato. Ora invece lo studente viene rimandato è costretto a ripetere l’anno e quindi, a pagare nuove tasse universitarie.
Conosco studenti che pagano tasse universitarie da più di 10 anni a causa dell’incapacità di superare l’esame di statistica medica o di inglese.
Trent’anni fa veniva spiegato chiaramente agli studenti che il mestiere dell’infermiere era poco appagante ma comunque ben retribuito. Veniva garantita l’assunzione diretta nell’ospedale dove era stato ottenuto il diploma ed entro poco tempo si poteva ottenere un contratto a tempo indeterminato che avrebbe accompagnato l’infermiere fino alla pensione.
Tutti erano a conoscenza del fatto che un allievo avrebbe appreso mansioni domestico -alberghiere che avrebbe successivamente dovuto eseguire in reparto. Il corso era totalmente gratuito e, a seconda della regione nel quale si studiava, si aveva diritto ad una retribuzione variabile che permetteva di vivere in maniera decorosa. Non era nemmeno necessario sborsare grosse cifre per l’acquisto di libri o altro materiale didattico poiché tutto veniva fornito dagli organizzatori del corso stesso. Gli studenti che terminavano il corso venivano assunti direttamente dagli ospedali dove avevano sostenuto i tirocini clinici
Attualmente un infermiere neolaureato deve immediatamente pagare la quota d’iscrizione all’Ordine professionale IPASVI e la quota annuale per l’anno in corso. Considerando che novembre è il mese più gettonato per laurearsi è evidente che i nuovi infermieri dovranno da subito pagare la quota annuale per le poche settimane rimanenti.
Ma per quale motivo un infermiere appena formato non attende il nuovo anno per iscriversi? Perché le voci di corridoio di qualsiasi ospedale parlano di un MEGA CONCORSO in arrivo a breve che offrirà 5000 posti da infermiere a tempo indeterminato.
Ed ecco che decine di giovani speranzosi sborseranno svariate centinaia di euro per iscriversi al collegio provinciale. Finalmente qualcuno ha avuto conferma del concorso! E’ uscito il bando per 10.000 posti da infermiere a Treviso. Un’orda di giovani speranzosi cerca informazioni su internet, su Facebook e su altri social network.
Ed ecco che i topic sui forum iniziano a prendere vita. All’improvviso arriva la doccia gelata: il mega concorso mette a disposizione un solo posto da infermiere ma i migliori candidati avranno diritto ad essere inseriti in una graduatoria dalla quale qualcuno prima o poi sarà chiamato. Ecco che ora migliaia di infermieri intasano la casella mail da utilizzare per registrarsi e provvedono ad effettuare il pagamento per la tassa d’iscrizione alle prove concorsuali rimpinguando le casse di qualche azienda ospedaliera.
Ma è meglio non anticipare quello che sarà il tema del prossimo appuntamento della rubrica Time Travel ovvero la situazione concorsuale italiana.
Spero di non essere risultato troppo distruttivo nella mia disamina e sono ansioso di ricevere le opinioni dei lettori con il quale è sempre un piacere avere un confronto costruttivo.
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