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La dott.ssa consegue il master di primo livello in “Management e funzioni di coordinamento delle professioni sanitarie presenta il suo lavoro di tesi dal titolo “Stress lavoro correlato e burnout: confronto tra professionisti del SPDC no-restraint e restraint”
ABSTRACT
Razionale dello studio
La sindrome di burnout è un disturbo individuale che però, sempre più spesso, è condizionato anche dal contesto sociale dell’ambiente lavorativo.
I rapporti di relazione interpersonale, che si sviluppano nel contesto lavorativo, richiedono un significativo contatto emotivo, per cui tali possono essere vissuti sia come gratificanti e coinvolgenti, che come rapporti stressanti.
Nell’ambito delle attività d’aiuto alla persona, le norme etiche condivise tendono ad anteporre i bisogni degli assistiti a quelli dei professionisti. Ciò presuppone che lavorare per lunghe ore e fare tutto il necessario per portare aiuto è considerato non solo opportuno, ma, talora, necessario.
Gli operatori impiegati in salute mentale svolgono un lavoro che è, per sua natura stressante poiché usano sé stessi come “strumenti” nella professione e vivono una serie di forti emozioni.
In linea di principio, in presenza degli stessi fattori di contesto, gli operatori della salute mentale dovrebbero sperimentare uno stress da lavoro simile a quello avvertito dagli operatori sanitari che svolgono le loro attività in altre discipline mediche, tuttavia, diversi studi hanno identificato fattori di stress specifici della professione psichiatrica.
La stigmatizzazione non riguarda solo i malati psichiatrici, ma anche i professionisti. La particolare pregnanza del rapporto con i pazienti, nonché le difficili interazioni con le loro famiglie, con le istituzioni sanitarie e con quelle giudiziarie, rappresentano altri fattori di stress specifici. Altre fonti di stress sono la mancanza di gratificazioni professionali e di feedback positivi, retribuzioni basse e ambienti di lavoro poveri, poco accoglienti e non adeguati per architettura arcaica. Particolare rilevanza riveste, inoltre, la violenza fisica e/o verbale contro gli operatori sanitari subita da parte di alcuni pazienti.
In ogni realtà sono presenti delle problematiche che provocano stress agli operatori sanitari che passano molto tempo con gli utenti che, in questo reparto, sono difficili da gestire e richiedono attenzioni particolari.
Con questo studio ho voluto analizzare due realtà ospedaliere diverse, una in cui viene applicato il protocollo restraint e nell’altra quello no-restraint, per valutare quanto l’utilizzo di varie tipologie di contenzione (fisica, farmacologica, ambientale ecc.) possano influire sullo stress lavoro-correlato degli operatori sanitari che si trovano a dover attuare dei protocolli talvolta frustranti sia per il paziente che per l’operatore stesso, a confronto con realtà in cui è utilizzato un approccio relazionale differente che mira a non sottrarre la libertà della persona assistita, nonostante le crisi.
Materiali e metodi
Questo studio, attraverso un questionario anonimo, va ad indagare diversi elementi come la formazione, la gestione della contenzione, le aggressioni subite cercando una relazione fra esse e lo stress lavoro-correlato che può portare al burnout.
Lo scopo è quello di valutare il grado di stress in due realtà diverse; infatti, sono messi a confronto due SPDC: quello presente nell’Ospedale SS. Cosma e Damiano di Pescia (no-restraint) e quello dell’Ospedale San Jacopo di Pistoia (restraint).
Il questionario anonimo è stato redatto con Google Moduli e somministrato attraverso un link inviato per e-mail ai partecipanti, ovvero infermieri e oss impiegati nei reparti di psichiatria dei due ospedali sopracitati. È composto da due sezioni: nella prima sezione sono poste domande di carattere generale riguardo la propria attività lavorativa; nella seconda sezione viene, invece, somministrata la Scala di Maslach Burnout Inventory, utilizzata per valutare il livello di burnout di un individuo.
Analisi e discussione dei risultati
I partecipanti sono soprattutto infermieri e la maggior parte di sesso femminile. Più della metà hanno molti anni di servizio in ospedale ma pochi nel reparto specifico di psichiatria.
In entrambi gli ospedali gli operatori sono contenti di lavorare in SPDC e non hanno un alto grado di burnout. Interessante è vedere come, presso l’SPDC di Pescia (no restraint), il personale ritenga comunque molto utile l’utilizzo delle contenzioni e risulti più stressato rispetto alla realtà in cui vengono utilizzati protocolli restraint, cosa inaspettata poiché all’inizio dell’indagine ho immaginato che il risultato fosse esattamente l’opposto di quello che è poi stato nella realtà.
Conclusioni
Dalle risposte ottenute attraverso il questionario si può dedurre che, gli episodi di aggressione contro gli operatori sanitari, sono molto più frequenti dove non vengono utilizzate contenzioni rispetto a dove vengono utilizzate, questo, verosimilmente, potrebbe essere il motivo per cui i sanitari dell’ospedale di Pescia (reparto no restraint) risultino più stressati e provati di quelli di Pistoia (reparto restraint), anche se di motivi potrebbero esisterne molti e molti altri, probabilmente nemmeno indagati in questo mio studio.
Irene Marzoli Bachini
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