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“The Pitt”: il perché del successo riscosso dalla serie tv americana

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Nella seguente recensione, a cura di Città Nuova, i motivi per cui vale la pena di seguire il medical drama ambientato in un ospedale di Pittsburgh.

The Pitt, serie televisiva HBO in onda su Sky da fine settembre, ti colpisce fin dalla prima inquadratura col suo ritmo incalzante, col realismo marcato dei casi più disparati, che piombano nel Pronto soccorso del Trauma Medical Center, un ospedale di Pittsburgh. Qui giungono a raffica storie di persone diverse per età, estrazione sociale e cultura. Si inseriscono tra i dialoghi serrati dei medici, giovani e meno giovani, tra le loro diagnosi in lotta contro il tempo, tra i loro interventi per affrontare le patologie più o meno gravi che questa serie accumula senza sosta.

Cercano di salvare ogni vita, i bravi medici di The Pitt, ma non sempre ce la fanno, in un contesto affollato e nervoso, dove vita e morte sono spesso separate da un filo sottile. C’è di tutto in questo medical drama adrenalinico, fresco vincitore di ben cinque Emmy, tra cui quello per la miglior serie drammatica. Ci sono incidenti, malattie, sparatorie, problematiche sofisticate non sempre evidenti a un primo sguardo o popolari tra gli spettatori.

The Pitt le affronta con i suoi 15 episodi di un’ora ciascuno: 15 ore equivalenti al turno del bravo (perché competente e al tempo stesso umano, paterno) dottor Michael “Robby” Robinavitch, interpretato dall’altrettanto bravo Noah Wile, anche lui premiato agli Emmy come miglior attore e già dottor Carter in E.R., con cui The Pitt conserva evidenti, interessanti legami.

Tutti i casi, gli interventi, le emergenze minuto per minuto si sovrappongono senza il fuori corsia sentimentale di altri noti medical drama, da Grey’s Anatomy in giù. Tutto avviene negli spazi del Pronto soccorso: dalle 7 di mattina – quando “Robby” entra in servizio – alle 10 di sera, quando smonta.

Quindici ore di questo eccezionale medico e del personale che lavora accanto a lui. Esperto e meno esperto, distaccato oppure ansioso, in ogni caso motivato e in continuo contrasto coi limiti della sanità pubblica americana: risorse umane sottodimensionate, professionisti spremuti in un sistema nel quale, tra medico e paziente, si inserisce il tema della speculazione economica. Sullo sfondo di una società sfibrata, problematica.

The Pitt è dunque fotografia originale dell’America contemporanea, con il suo presente non semplice che è sempre anche un po’ il presente di tutto l’Occidente. C’è, in questo racconto ospedaliero convulso e a cento all’ora, che non chiude la sequenza prima del taglio chirurgico – ma anzi, di sangue, in modo quasi documentaristico, se ne vede parecchio – l’attualità del nostro tempo di complesse e delicate questioni bioetiche, scientifiche, politiche, sociali e storiche (c’è anche l’onda lunga della pandemia).

Tra i medici navigati e gli infermieri dell’ospedale, tra gli specializzandi e i tirocinanti, pervasi da un esile e continuo filo di solitudine, tra le tante storie compresse nella tensione e nella pressione costante, tra chi sviene e chi salva la vita al prossimo sconosciuto, tra le intuizioni, le urgenze e le operazioni, i macchinari e i camici, insomma nel contenitore del genere medical – in questo caso di ottima fattura – si compone una radiografia, stavolta in senso metaforico, di quanto accade nel mondo.

Perché ogni scatola narrativa, in particolare i medical drama, sa farsi strumento con cui si orientano le masse: arnese che contribuisce, più o meno velatamente, a formare – magari rafforzandola e indebolendola su alcune questioni – l’opinione pubblica. Per questo, ciò che sembra solo coinvolgente intrattenimento, tale non è mai, e impone uno sguardo attento, acceso, critico.

Redazione Nurse Times

Fonte: Città Nuova

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