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Test sierologici, Clerici (Amcli): “Dosaggio degli anticorpi dice poco. Conta la memoria immunologica”

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Test sierologici, Clerici (Amcli): "Dosaggio degli anticorpi dice poco. Conta la memoria immunologica"
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Rilanciamo l’intervista rilasciata a HuffPost dal presidente dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani e della Federazione Italiana Società Scientifiche di Laboratorio.

“Quello dei test sierologici è un argomento scivoloso. Al momento non esistono valori soglia in grado di dirci come, quanto e per quanto tempo si è protetti. 100 o 1000 AU/mL: il valore degli anticorpi vuol dire poco o nulla, l’importante è che ci siano. Finché non avremo standard internazionali comparativi, tramite il dosaggio si potrà verificare che gli anticorpi ci sono, ma non si potrà valutare se il loro livello sia alto o basso. Quello che conta davvero è la memoria immunologica, per cui si stanno studiando test specifici”. A parlare all’HuffPost è Pierangelo Clerici (foto), presidente dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani (AMCLI) e della Federazione Italiana Società Scientifiche di Laboratorio.

Memoria immunologica? Ci spieghi.
″È un meccanismo ben conosciuto che consente al sistema immunitario di ricordare gli antigeni con cui entra in contatto la prima volta, al fine di reagire in maniera più rapida e intensa in caso di un contatto successivo, riuscendo a eliminare così il patogeno coinvolto. Anche nel caso del Covid-19, la memoria immunologica è un’arma che spara solo nel momento in cui entra in contatto col nemico, ovvero il virus. I proiettili sono proprio gli anticorpi, che vengono prodotti quando ce n’è bisogno”.

Questo significa che possiamo risultare protetti indipendentemente dai risultati di un test sierologico?
“Certo, è una possibilità. Non è detto che a fronte di pochi o assenti anticorpi la memoria immunologica non si sia instillata. Ma, come dicevo, i test per verificarlo sono ancora in fase di verifica. Per ottenere risultati su questo fronte occorrerà attendere almeno un anno”.

Valori nulli di anticorpi possono però significare anche mancata risposta al vaccino.
“Sì, ma si tratta di casi rarissimi che coinvolgono pazienti particolarmente fragili o immunocompromessi. È un’eventualità che non riguarda soltanto il vaccino anti-Covid: in qualsiasi vaccinazione contro qualsiasi malattia esiste una parte di popolazione, che oscilla tra il 2 e il 4%, che non risponde. Sono proprio questi soggetti che noi soggetti sani dobbiamo proteggere, vaccinandoci tutti”.

E se i livelli di anticorpi rilevati da test sierologico diminuiscono nel tempo?
“Non dobbiamo spaventarci, accade con tutti i vaccini. Anche se diminuiscono, la memoria immunologica di cui sopra può permanere”.

Ci sono persone che hanno ricevuto la prima dose di vaccino, ma hanno dovuto rimandare il richiamo a causa di imprevisti o problemi clinici. Qual è l’arco di tempo da non superare per ricevere la seconda dose?
“Per il booster bisognerebbe sempre rispettare i tempi indicati. Ma, nel caso di chiara impossibilità, la situazione cambia da vaccino a vaccino: se per AstraZeneca l’intervallo tra prima e seconda dose era di 12 settimane, sarebbe consigliabile non andare oltre le 15-16 settimane; per quanto riguarda invece Moderna (28 giorni) e Pfizer (21 giorni) non bisognerebbe superare i quindici giorni dall’intervallo previsto. Ma il discorso vale soltanto per soggetti sani e immunocompetenti. Non a caso, per fragili e immunocompromessi sarebbe auspicabile una terza dose già a partire dall’autunno”.

Redazione Nurse Times

Fonte: Huffington Post

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