Riceviamo e pubblichiamo un contributo a firma della dottoressa Federica Piergianni, infermiera dell’ospedale S.G. Moscati di Taranto, e del dottor Pierpaolo Volpe, presidente di Opi Taranto (foto).
L’avvio degli Stati generali della professione infermieristica ci impone una riflessione, anche alla luce delle sfide che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ci sta per consegnare e a cui gli infermieri sono pronti a rispondere con le loro competenza e professionalità.
Il Pnrr, come ben noto, è il documento che il Governo italiano ha predisposto per illustrare alla Commissione europea come il nostro Paese intende investire i fondi che arriveranno nell’ambito del programma “Next generation Eu”, ed è stato realizzato seguendo le linee guida emanate dall’esecutivo comunitario. Raggruppa i progetti di investimento in 16 componenti, a loro volta raggruppati in sei missioni. La sesta di queste, quella rubricata come “Salute”, investe in pieno la nostra professione. Nella realizzazione di questa mission è infatti prevista la presenza di gruppi di lavoro interdisciplinari, nei quali non può non essere presente, insieme alle altre, la figura dell’infermiere.
Una figura ormai conosciuta da tutta la popolazione, vista la notorietà mediatica acquisita durante l’emergenza sanitaria. Mediatica perché, del lavoro svolto dagli infermieri in tutti i servizi e le articolazioni del Ssn, si è presa coscienza anche in considerazione della basilarità e della complessità delle cure che l’assistenza infermieristica eroga nell’ambito di un sistema multidisciplinare e multidimensionale. Ora, quindi, non si può più fare finta di non conoscere quanto sia importante il ruolo dell’infermiere nel sistema salute. Un ruolo finora compreso solo da chi ha vissuto la sofferenza della malattia, anche per ragioni storiche, culturali e politiche.
L’importanza della “dimensione” dell’infermiere non è nella sua “titolarità”, ma è soprattutto nelle prestazioni che eroga nell’ambito di un sistema complesso, denominato “assistenza infermieristica”. Guardando nel dettaglio, questa consiste nel prendersi carico delle conseguenze della malattia di tipo fisiologico, psicologico e sociale sul vivere quotidiano e sull’autonomia della persona considerata nella sua totalità e soggettività. E’ un’assistenza che si caratterizza per un complesso di attività nelle quali è possibile riconoscere una dimensione tecnica, ma anche e soprattutto relazionale, educativa e riabilitativa, tipica delle professioni intellettuali.
Prendersi carico della persona assistita significa assumere la funzione di un vero e proprio “punto di riferimento”, non solo per ciò che riguarda i riverberi fisici della malattia, ma per tutto ciò che attiene la sfera educativa e psicologica. Ciò fa sì che l’infermiere diventi il vero e proprio centro del processo assistenziale sia per il malato che per i suoi familiari. Quanto previsto dallo specifico professionale comporta inevitabilmente responsabilità che l’infermiere conosce molto bene, in quanto professionista autonomo.
Alla luce delle evoluzioni intervenute negli ultimi anni è opportuno che il “lavoratore infermiere”, così come previsto dalla Carta costituzionale all’art. 36, abbia “…diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro, e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” La comunità professionale infermieristica non chiede nulla di più di quanto già esiste. Come categoria, siamo fieri del nostro lavoro e delle immense soddisfazioni che questo ci dona. Ma ciò non toglie che, così come avviene in tutti i Paesi dell’Unione Europea, debba essere riconosciuta la giusta retribuzione per il lavoro svolto e per le responsabilità che gravano sul nostro agire.
La professione, di questo, è consapevole. Cosi come è consapevole che a oggi non ci sono più scuse che reggano, dato che gli strumenti normativi sono disponibili da tempo. La consapevolezza di ciò che accade è ora di dominio pubblico, e quindi non è possibile che il decisore politico e il Parlamento sovrano possano continuare a “voltarci le spalle”. A chi sbandiera lo slogan “Ce lo chiede l’Europa”, chiediamo anche uniformità di trattamento. Se essere in Europa vuol dire rispettare i parametri europei, allora agli infermieri vanno riconosciuti gli stessi parametri dei colleghi degli Stati Ocse.
Redazione Nurse Times
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