LA CULTURA DELLA CURA – CONTRIBUTO-INTERVISTA
Valter Fascio – Ordine benedettino di Santa Maria di Ivrea Obl Osb.- Infermiere coordinatore. Specializzazione nella Salute Mentale, Master Forense.
Come vedi la situazione della Professione infermieristica?
«La Professione è stanca, nell’Italia del ‘benessere’ vi è davvero molto ‘malessere’. La nostra cultura in generale è uniformata, una convergenza silenziosa all’omologazione generale che costituisce una decadenza culturale e civile, rispetto alla nostra storia. I nostri ospedali sono grandi ma le risorse sono sempre più poche e l’apparato burocratico lievita, i nostri riti quotidiani e i nostri ‘abiti’ infermieristici sono stanchi e inadeguati. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? La crisi sociale ed economica pesa. Noi infermieri ci troviamo lì come il giovane che triste si guardò intorno e poi se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo. Magari in un altro Paese, all’estero, per trovare lavoro. Chiedo scusa magari per l’indebito accostamento. Mi rendo conto che oggi non possiamo affrontare tutta la complessità e i problemi dell’assistenza con facilità. Quanto meno come infermieri potremmo cercare uomini, colleghi, che siano liberi, più vicini a sostenere ‘incondizionatamente’ la Professione, cioè la tutela dei pazienti e quindi di noi stessi. Come lo sono stati i tanti che hanno provato a dare una voce a queste istanze della Professione. Dove sono oggi gli esempi da seguire e a cui ispirarci? Per nessuna ragione dobbiamo limitarli con i vincoli, la forza o le lusinghe delle istituzioni».
Chi può aiutare la Professione oggi?
«Karl Rahner utilizzava volentieri l’immagine della brace che si nasconde sotto la cenere. Io vedo nella Professione di oggi così tanta cenere sopra la brace che spesso mi pervade un senso di impotenza. Come si può liberare la brace dalla cenere in modo da far rinvigorire la fiamma dei valori deontologici a cui si ispira il nostro Codice? Per prima cosa – non è poco – dobbiamo ricercare questa brace. Come possono esprimersi i singoli infermieri pieni di generosità come il buon samaritano? Come possono aver fiducia come il centurione romano? Come possono sprigionare entusiasmo e speranza come Giovanni Battista? Come possono osare il nuovo come Paolo? Come possono donare speranza come Maria? Io consiglio alla Professione di cercare simbolicamente ‘dodici persone’ fuori dalle righe per una nuova Agorà riformatrice. Un cenacolo culturale per infermieri che quotidianamente siano vicini alla base, ai pazienti, alle situazioni più critiche e complesse, che siano circondati da giovani e che ‘pensino’ e poi sperimentino cose nuove, anche a livello organizzativo. Non abbiamo tanto bisogno di un confronto accademico o tecnico scientifico quanto umanistico e spirituale, con colleghi che ‘ardono’ di passione in modo che lo spirito nuovo della Professione possa diffondersi ovunque».
Che strumenti consigli contro la fatica della Professione?
«Ne consiglio tre, molto forti. Il primo è il ‘cambiamento’. La Professione deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento. Le situazioni lavorative di demansionamento, sudditanza e delegittimazione professionale ci spingono a intraprendere un cammino di cambiamento. L’aumento dei casi di mobbing, straining e burn-out e, su tutti, i temi della ‘cura’ di chi cura che coinvolgono sempre più la dignità degli infermieri ne sono un esempio. Questi sono importanti per ognuno di noi e a volte forse diventano anche troppo importanti. Dobbiamo anche chiederci se gli infermieri nel mondo del toyotismo esasperato hanno ancora tempo per ascoltare i pazienti, per dedicarsi completamente al loro mandato. La Professione nel campo dell’assistenza è riconosciuta dalla società ed è di riferimento per l’Istituzione o solo una caricatura insignificante per i media, come di recente abbiamo visto a Ballarò?
Il secondo è il Codice Deontologico. Occorre modificarlo e restituirlo agli infermieri, i quali non sono liberi se ‘compensano’ la latitanza e l’assenza arbitraria e continuativa dell’Istituzione. Si tratta di un concetto erroneo di ‘servizio’, Luca stesso (12, 43-44), provocatoriamente, ci direbbe ‘siamo servi inutili’, vani, se non si ha alcun diritto. Solamente colui che percepisce nel profondo del suo cuore che è questa la vera ‘visione’ umanistica, può far parte di coloro che aiuteranno il rinnovamento di una Professione frustrata: collocarsi in un quadro di verità, fiducia e speranza che ci rende liberi e sciolti, quindi grati e disponibili a fare tutto quello che sta in noi. Né l’Istituzione né il Diritto possono sostituirsi all’interiorità dell’uomo. Tutte le regole esterne, le leggi, i profili e mansionari ci sono dati per professare i nostri valori nella primarietà ontologica alla cura delle persone, che ci sono affidate e per il discernimento nell’aver compiuto tutto quanto era nelle nostre capacità.
Per chi sono le norme che regolano la cura? Questo è il terzo strumento.
Di quale assistenza parliamo? Di quali competenze speciali da aggiungere? Le norme con tutti i loro lacci e lacciuoli non servono unicamente come strumento per la disciplina, ma aiuto pratico per gli uomini nei momenti del cammino e nelle debolezze e sofferenze della vita.
Dobbiamo portare questo tipo di nursing agli uomini che necessitano una nuova forza. Io penso a tutte le persone deboli, gli anziani e disabili, le famiglie allargate che sono impoverite dalla crisi economica nella comunità. A tutta l’area della cosiddetta ‘territorialità”. Questi soggetti hanno bisogno di una nostra particolare attenzione, una protezione speciale. La Professione sostiene valori etici importantissimi per la vita. È una grazia quando per il nostro intervento una persona o una famiglia riescono a sostenere o risolvere i loro bisogni di salute. Il tempo per la relazione deve essere considerato strumento fondamentale di guarigione. Ricordiamoci che l’atteggiamento con cui ci prenderemo ‘cura’ delle persone e famiglie determinerà l’avvicinamento alla Professione o l’allontanamento da parte della società di questa generazione. Un uomo malato perde l’autonomia, talvolta il lavoro, finanche la dignità e trova un aiuto da parte nostra, chi si occupa di lui e dei suoi bisogni fondamentali. Soltanto la ‘continuità’ e l’assiduità della cura riesce in ciò. Se questa famiglia viene dimenticata, viene tagliata fuori dal servizio sanitario, non avrà mai sentito il sostegno della Professione e la stessa società la perderà per il futuro. Noi infermieri, come uomini, sappiamo di non essere all’altezza. La cura è grazia, amore e un dono… Non c’è cura senza amore come passione per l’Altro.
La domanda iniziale, allora, dovrebbe essere capovolta. Come può la Professione arrivare in aiuto, con la forza degli strumenti che derivano da principi etici universali, non sindacabili, per sostenere gli infermieri ad essere all’altezza di compiti di cura così difficili e complessi?»
Tu cosa fai personalmente?
«La Professione deve compiere un balzo in avanti: è rimasta indietro di anni. Come mai non si scuote? Abbiamo timore? Timore invece di coraggio? Come diceva il compianto Carlo Calamandrei, la speranza nel futuro è il fondamento della nostra Professione. La speranza, la fiducia, il coraggio. Io personalmente mi trovo ‘tra gli anziani’, come infermiere e come laico di un ordine religioso sono consapevole di dipendere completamente dall’aiuto degli altri. Svolgo diverse attività di volontariato e solidarietà. Le persone buone intorno a me mi hanno sempre fatto sentire il loro amore. Questo amore è più forte del sentimento di grande sfiducia che ogni tanto invece percepisco come infermiere. Siamo sì servi inutili, inadeguati, però possiamo diventare davvero servitori liberi e sciolti dei nostri pazienti, quindi responsabili, autonomi, sfuggendo all’egoismo e alla frustrazione. Ma per l’infermiere deve nascere la possibilità’ di una luce che illumini la via del discernimento su alcune derive pericolose del presente e futuro. C’è ancora molto da fare, e possiamo farlo soltanto ‘insieme’.
Io, invece, ho solo una domanda per te: che cosa puoi fare tu oggi per la Professione?».
Bibliografia
Appunti e riflessioni personali. Dalle lezioni di Carlo Maria Martini, Alla fine del Millennio, Milano 1997.
SLOW NURSING: il tempo per l’assistenza, il prendersi cura, l’etica, la responsabilità
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