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SIMG – Sarà fondamentale una terza dose del vaccino anti-Covid? Prematuro parlarne adesso. Gli studi attualmente disponibili dimostrano come, per ora, non sia necessaria

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SIMG/SIMIT - Contro Covid e varianti strategia su 3 livelli. Pronto il portale dei vaccini per MMG e cittadini
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Attualmente è sotto osservazione la durata della risposta anticorpale e la sua efficacia contro le varianti. I dati disponibili sono positivi su questo punto, ma per i tempi si ipotizza una copertura di 9-12 mesi. Solo dopo questo lasso di tempo potrebbe rivelarsi necessaria un’eventuale 3°dose”evidenzia Ignazio Grattagliano SIMG Puglia

Recenti studi condotti dal CDC –Centers for Disease Control and Prevention e dall’ACIP – Advisory Committee on Immunization Practices sono stati analizzati dalla Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG) che ne ha tratto un report in cui attesta che le dosi di vaccino (una o due a seconda del vaccino) attualmente somministrate sono sufficienti a dare copertura efficace sul virus in circolazione, incluse le varianti note fino a questo momento, mentre una terza dose al momento non è necessaria. Rispetto alle varianti, la protezione cala, ma resta comunque elevata.

Un’ipotetica terza dose al momento non è dunque prevista. Diventerà invece più probabile tra alcuni mesi, quando però presumibilmente il contesto virale sarà ulteriormente mutato. Questi concetti, supportati da studi scientifici, sono esposti dalla SIMG in una lettera a firma di Ignazio GrattaglianoClaudio CricelliAlessandro Rossi della SIMG, Roberto Ieraci – Referente Scientifico per la vaccinazione COVID, Strategie Vaccinali Regione Lazio, Mario Clerici – Immunologia e Immunopatologia Università degli Studi di Milano Direttore Scientifico S.M. Nascente IRCCS, Fondazione Don C. Gnocchi, Milano, inviata al Ministro della Salute Roberto Speranza e al suo consigliere Walter Ricciardi, accompagnata da un memorandum che ne illustra le basi scientifiche e le fonti degli organi statunitensi, pubblicato sul sito www.simg.org.

LO SCENARIO TRA VACCINI E FARMACI 

Nelle ultime settimane, si sta discutendo sulla necessità di una terza dose di vaccino anti-COVID-19, soprattutto per alcune categorie di individui più fragili. Si valutano soprattutto i dati forniti da studi di laboratorio, che riportano come la capacità neutralizzante dei sieri degli individui vaccinati contro il COVID-19 possa essere poco meno attiva verso le nuove varianti di SARS-CoV-2. In realtà, mentre le aziende produttrici dei vaccini anti-COVID-19 a mRNA si dichiarano già pronte alla produzione ed alla distribuzione di ulteriori dosi, sia la FDA che l’EMA hanno frenato le iniziative dopo aver valutato i dati recenti e le dichiarazioni del CDC sulla necessità di una terza dose di vaccino in autunno. Secondo gli enti regolatori statunitense ed europeo al momento sarebbe troppo presto per confermare la necessità di dosi di richiamo, in quanto i dati scientifici a disposizione sia sulla copertura vaccinale sia sull’utilità della terza dose in soggetti particolarmente a rischio sarebbero insufficienti. In questa fase FDA ed EMA stanno attivamente collaborando con gli sviluppatori di vaccini per valutare piani utili a produrre dati che possano dirimere le incertezze ancora presenti. D’altro canto, sembra che i 4 vaccini finora autorizzati nell’UE proteggano effettivamente contro tutti i ceppi di SARS-CoV-2, comprese le varianti delta.

LA TERZA DOSE DI VACCINO 

Come già dichiarato dagli enti regolatori statunitense ed europeo, FDA ed EMA, al momento è troppo presto per ipotizzare la necessità di ulteriori dosi di richiamo, in quanto i dati scientifici a disposizione sia sulla copertura vaccinale sia sull’utilità della terza dose in soggetti particolarmente a rischio sarebbero insufficienti – sottolinea Ignazio Grattagliano, Coordinatore SIMG Puglia – Attualmente, nessun dato supporta le raccomandazioni su nuove dosi di richiamo dopo le prime due. Inoltre, una terza dose con lo stesso vaccino già utilizzato non solo non aggiungerebbe altra protezione all’organismo che già ha acquisito gli anticorpi necessari per far fronte all’infezione, ma si correrebbe il rischio che diventi del tutto inutile: gli anticorpi prodotti dalla vaccinazione infatti agiscono contro il virus originario e non contro le potenziali nuove varianti che possono apparire nel futuro prossimo”.

Dovremo continuare a monitorare ogni dettaglio, ma qualsiasi conclusione prima della fine dell’estate rischia di essere affrettata – evidenzia il Prof. Claudio Cricelli, Presidente SIMG – Attualmente è sotto osservazione la durata dell’efficacia anticorpale e la sua risposta alle varianti: i dati disponibili sono positivi su quest’ultimo punto, mentre per i tempi si ipotizza una copertura di almeno 9-12 mesi. Solo una volta trascorso questo lasso di tempo la terza dose probabilmente diventerà necessaria. Ma a quel punto sarà un vaccino prodotto sulla base delle varianti più aggressive; si tratterà quasi di un vaccino ex novo, pronto ad agire nei confronti di un’infezione che per una buona percentuale sarà diversa dal virus originario”.

CRESCE L’USO DEGLI ANTICORPI MONOCLONALI IN ITALIA

Sono 6.626, da metà marzo a oggi, i pazienti Covid a cui sono stati prescritti anticorpi monoclonali in Italia, secondo il 15mo Report sugli Anticorpi Monoclonali per Covid-19 dell’Agenzia italiana del Farmaco (Aifa), relativo al periodo dal 9 al 15 luglio. Di questi, 80 sono quelli che li hanno ricevuti nell’ultima settimana: un numero per la seconda settimana consecutiva in ricrescita dopo mesi in calo, di pari passo con l’aumento registrato nei nuovi contagi da Sars-Cov-2.

I SOGGETTI FRAGILI E IMMUNODEPRESSI 

Il discorso relativo a un’ipotetica terza dose ha interessato soprattutto i soggetti immunodepressi, per malattia o perché trattati con terapie immunosoppressive, su cui talvolta la copertura vaccinale è inferiore.

Ciò che abbiamo rilevato negli studi svolti finora è che anche nei soggetti immunodepressi la terza dose di vaccino ha dimostrato di non aumentare l’efficacia delle prime dosi. Sarebbe dunque uno sforzo inutile. In questi pazienti, pertanto, occorrerà considerare la necessità di altre misure di prevenzione. E’ infatti al vaglio la concreta possibilità di utilizzare gli anticorpi monoclonali anti-Spike come profilassi post-esposizione al virus proprio nei soggetti con basse difese immunitarie, un intervento sanitario che vedrebbe il medico di famiglia ancora una volta in prima linea ”conclude Grattagliano.

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