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Riconosciuto a Chieti il tempo vestizione agli infermieri

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corte appello L'Aquila

Con la sentenza emessa giovedì scorso la Usb Sanità di Chieti ha vinto – presso la Corte D’Appello dell’Aquila – il ricorso per veder riconosciuti i 20 minuti per turno come orario di lavoro per tutti coloro che devono indossare una divisa per lavorare in ospedale.

Nello specifico la sentenza afferma che: “non è contestabile che il personale infermieristico deve necessariamente indossare e dismettere la divisa di lavoro (camice), per intuibili ragioni di igiene, negli stessi ambienti dell’Azienda – e non ovviamente da casa – prima dell’entrata e dopo l’uscita dai relativi reparti, rispettivamente, prima e dopo i relativi turni di lavoro”.

Oggi la Asl è di fatto condannata a pagare 20 minuti a turno degli ultimi sette anni (il ricorso legale  è iniziato nel 2008) con interessi legali e rivalutazione monetaria oltre a spese legali di non poco conto.

Nel 2008, sulla scorta di alcune sentenze già favorevoli a lavoratori ricorrenti sui “tempi vestizione” (Asl Pescara), la USB chiese alla Direzione Generale, nell’ambito della contrattazione decentrata di porre quale punto all’OdG della contrattazione successiva i “tempi vestizione”. La risposta ai delegati RSU della USB fu un diniego nonostante avessero avvertito la Asl sull’intenzione di adire le vie legali.

Per il decreto legislativo 66/2003 e per la direttiva comunitaria n. 104/1993 recepita dall’art. 1, comma 2, di quel Decreto, deve ritenersi rientrare nell’orario di lavoro “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.

Anche la Cassazione ha avuto modo di chiarire che, ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa stessa (e quindi anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro) la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa, «e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito».

“Sostanzialmente l’atto di indossare la divisa, in quanto antecedente all’inizio della prestazione lavorativa e funzionale alla sua corretta esecuzione”, si legge nella sentenza, “deve essere inquadrato non tra le pause lavorative, bensì tra le attività propedeutiche all’esecuzione della prestazione, relative alla cura della persona, certamente necessaria in una attività strettamente connessa all’igiene richiesta dall’attività lavorativa così peculiare”.

E poi, in merito alla quantificazione del tempo per la materiale effettuazione delle operazioni di vestizione/svestizione “può essere valutato equitativamente nella misura di circa 10 minuti per la vestizione ed altrettanti per la svestizione. Tale quantificazione appare attendibile e comunque non è stata specificamente contestata dalla parte appellata, se non in modo generico ed indeterminato”.

“Siamo felici di aver avuto ragione ma, nel contempo, dispiaciuti di essere risarciti con il denaro pubblico quindi nostro”, commentano dall’Usb. “Riteniamo che questi siano i risultati di una amministrazione della cosa pubblica poco illuminata e che, forse, se ai Dirigenti venisse imposta una multa e/o venissero costretti a pagare di tasca loro, gli esiti sarebbero diversi”.

Si apre così la strada al secondo gruppo di lavoratori, iscritti alla Usb, che ricorrono alla Corte di Appello dell’Aquila la cui discussione avverrà a Gennaio del 2016. Da domani si aprono, nei presidi ospedalieri della Asl Lanciano Vasto Chieti, le adesioni di tutti coloro che intendono far valere questo diritto.

Fonte: www.primadanoi.it

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