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Responsabilità infermieristica, nesso di casualità e documentazione sanitaria: un caso di decesso

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Proponiamo il commento del nostro collaboratore Carmelo Rinnone alla sentenza n. 17220/2019 della Corte di Cassazione, quarta sezione penale.

A seguito di un decesso di un’assistita, due infermieri, in servizio in un reparto di Medicina interna, sono stati accusati di omicidio colposo. I sanitari, durante il loro turno, avrebbero causato il decesso di un assistito, a causa di un comportamento negligente, non osservando direttamente e non monitorando i parametri vitali dell’utente. Questa negligenza, nonostante le ripetute richieste di aiuto da parte dell’interessato, aveva portato alla mancata richiesta d’intervento del medico.

L’iter giudiziale vede una serie di passaggi: il tribunale giudica colpevoli gli infermieri del decesso della paziente e li condanna alla pena di un anno di reclusione e al risarcimento dei danni in favore del marito, costituitosi parte civile, di una cifra pari a 30mila euro. La Corte d’Appello riforma la sentenza di primo grado, dichiarando estinto per prescrizione il reato di omicidio colposo, ma conferma le statuizioni civili di condanna al risarcimento dei danni. Gli infermieri ricorrono contro la sentenza in Cassazione.

La Corte di Cassazione, quarta sezione penale, con sentenza n. 17220/2019, accoglie il ricorso degli imputati e annulla la sentenza d’appello, pur confermando l’obbligo del risarcimento dei danni con rinvio al competente giudice civile perché individui con esattezza la condotta che, se posta in essere, avrebbe escluso la morte della paziente.

Quindi la Suprema Corte evidenzia come la circostanza per cui gli infermieri non abbiano effettuato l’osservazione diretta e il monitoraggio dei parametri vitali di una signora poi deceduta e non abbiano richiesto l’intervento del personale medico, nonostante la stessa avesse ripetutamente accusato uno stato di grave malessere, non è di per sé sufficiente a giustificare la loro condanna penale per il reato di omicidio colposo. Anche in caso di responsabilità sanitaria sono vigenti le regole generali elaborate dalla giurisprudenza in tema di reato colposo omissivo improprio.

La sentenza invita a considerare che se vi è il ragionevole dubbio circa la sussistenza del nesso causale tra la condotta e l’evento non è possibile giungere alla condanna. Anche in ambito di responsabilità sanitaria, pertanto, bisogna fare ricorso a un giudizio di alta probabilità logica, che, come ricordato dalla Corte, si configura solo “se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva”.

Ma che cosa è il nesso causale? Il nesso di causalità è quel rapporto tra l’evento dannoso e il comportamento dell’autore del fatto. Per l’attribuibilità del fatto illecito al soggetto vi deve essere imprescindibilmente un legame causale tra la condotta (commissiva o omissiva) e il danno. Nel caso specifico, si deve dimostrare che il comportamento negligente (colpa generica omissiva) dei due infermieri sia stata veramente la causa del decesso della signora.

Questo principio è statuito, in ambito penale, dall’art. 40 c.p. secondo il quale “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione”. In ambito civile il legislatore del ’42 non ha dedicato al nesso eziologico un’apposita definizione e l’orientamento seguito, soprattutto in giurisprudenza, afferma che “i principi generali che regolano la causalità di fatto sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt. 40 e 41 c.p. e dalla regolarità causale”.

Al fine di permettere che il giudice, e quindi i CTU e CTP, possano ripercorrere bene tutto quanto sia stato fatto al singolo utente e stabilire se il comportamento professionale sia stato improntato all’eccellenza sanitaria-assistenziale, è necessario che tutti i professionisti compilino una documentazione sanitaria che risponda ai requisiti formali e sostanziali che la stessa deve possedere. Essi sono:

  • Veridicità: la cartella deve contenere, in maniera assolutamente rispondente al vero, la verbalizzazione delle procedure assistenziali attuate sul malato.
  • Completezza e chiarezza: i contenuti devono essere chiari e inequivoci, proprio nell’ottica che la cartella possa essere oggetto di esame da parte di soggetti diversi dai redattori; la terminologia specialistica usata non deve lasciare dubbi, ivi comprese le sigle; si consiglia di far ricorso ad una legenda che consenta di risalire al termine esteso cui l’abbreviazione si riferisce.
  • Rintracciabilità: l’autore dell’annotazione deve risultare sempre individuabile.
  • Contestualità: l’annotazione deve essere contestuale, cioè contemporanea all’evento descritto.

Carmelo Rinnone

 

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