Con uno stipendio medio compreso tra 1.500 e 2.000 euro al mese, magari svolgendo turni di 12 ore, un infermiere dovrebbe lavorare 1.200 anni per raggiungere il guadagno annuale di uno degli amministratori delegati delle 100 aziende più grandi al mondo. E’ quanto emerge da un passaggio del rapporto Oxfam sulle disuguaglianze, presentato al Forum Economico mondiale di Davos (Svizzera).
Non solo. Se durante la fase più acuta della crisi inflattiva le imprese sono riuscite a tutelare i propri margini di profitto, ampi segmenti della forza lavoro hanno perso potere d’acquisto. Ne deriva che per quasi 800 milioni di lavoratori occupati in 52 Paesi i salari non hanno tenuto il passo dell’inflazione. Il relativo monte salari, infatti, ha visto un calo in termini reali di 1.500 miliardi di dollari nel biennio 2021-2022: una perdita equivalente a quasi uno stipendio mensile (25 giorni) per ciascun lavoratore.
E ancora, per ogni 100 dollari di profitti generati da 96 tra i maggiori colossi globali, 82 dollari sono fluiti agli azionisti sotto forma di dividendi o buyback azionari. A non essere ricompensato adeguatamente è invece chi, con il proprio duro lavoro, spesso precario e poco sicuro, contribuisce a rendere floride quelle stesse imprese.
L’analisi di Oxfam, basata sui dati della World Benchmarking Alliance relativi a 1.600 tra le più grandi aziende del mondo, rivela come solo lo 0,4% di esse si sia pubblicamente impegnato a corrispondere ai propri lavoratori un salario dignitoso.
“Il rapporto ci dice che sette delle dieci società più grandi al mondo hanno un miliardario come amministratore delegato o azionista di riferimento. Queste corporation hanno un valore di 10.200 miliardi di dollari, superiore al Pil combinato di tutti i Paesi dell’Africa e dell’America Latina”, spiega Amitabh Behar, direttore esecutivo di Oxfam International.
Redazione Nurse Times
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