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Rapporto infermiere-paziente in casa di riposo: “La mia esperienza…”

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L’infermiere di famiglia: chi è?
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Una collega ha voluto condividere con noi le sue considerazioni, prendendo spunto da un nostro recente articolo

Premetto che questa è la mia prima esperienza lavorativa dopo il conseguimento della laurea nel novembre del 2018 e che la struttura, rispetto ad altre realtà della mia zona, ospita una sessantina di pazienti con un grado di assistenza infermieristica che va dal basso al medio (al momento nessuna peg, nessuna stomia). Tuttavia questa caratteristica non è garanzia di “tranquillità” poiché capitano giornate in cui il fatto avverso accade, e sfortuna vuole che possa accadere anche in più casi.

Solitamente l’infermiere in turno è unico, tranne al mattino, quando si è affiancati da un collega (dalle 7 alle 10:30) che si occupa della rilevazione di parametri vitali, dell’esecuzione di prelievi ematici (se prescritti), della somministrazione di terapia e della colazione al piano con ospiti non autosufficienti.

Il fatto di essere quasi sempre soli crea alcuni problemi a livello assistenziale, a livello di stress che si accumula e a livello di gratificazione personale, poiché ci si ritrova spesso a rincorrere l’orologio, facendo il proprio lavoro in fretta e perdendo così anche il lato umano della professione. Ci si ritrova a dover prendere decisioni, a dover supportare gli operatori nei loro quesiti assistenziali (a dare loro direttive, in soldoni), a dover stare attaccati al telefono per cercare un medico, a dover preparare in tutta fretta la terapia e rispondere ai parenti e agli ospiti nello stesso momento. L’errore è dietro l’angolo e, ahimè, non stiamo maneggiando caramelle.

E il  medico? In struttura è presente fisicamente solo qualche ora in un’unica giornata settimanale. Ci si ritrova così a dover dar conto delle proprie decisioni anche a chi in turno non era presente, ma che il giorno dopo potrebbe avere da ridire se hai contattato un medico di guardia per una semplice consulenza telefonica. Ci si ritrova soli, anche se dovesse capitare un’urgenza/emergenza. Ci si ritrova soli perché alla struttura non importa di investire sulla tua formazione continua, ma se sbagli, pretende che tu risponda della tua imperizia

Amo il mio lavoro, lo amo davvero, ma non nego di avere spesso i nervi a fior di pelle e di vivere costantemente con l’ansia dell’errore. Con rammarico, chiudo qui il racconto di questa esperienza, auspicando comunque un cambio, una presa di coscienza, un po’ di rispetto in più per il ruolo che si svolge.

 

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