Benvenuti ad un nuovo appuntamento con la rubrica settimanale di Nurse Times PsicoPoint, spazio dedicato all’analisi della psiche degli infermieri svolta dal dottor Giuseppe Marino, psicologo che nelle prossime settimane analizzerà da vicino il mondo dei professionisti sanitari.
Le stagioni dell’infermiere
Come sarebbe andata se Vivaldi avesse indossato il camice?
Qualche giorno fa al telegiornale hanno trasmesso l’ennesimo fatto di cronaca nera. Ora non ricordo bene l’accaduto in se, ma poco importa: nel complesso diremo che si era consumato un dramma in qualche ospedale e forse un paziente si era suicidato, forse un dirigente era stato investigato, oppure un operatore aveva commesso un grave reato. Ne si parlava in un reparto ed un infermiere mi ha domandato: “Giuseppe, ma secondo te, come mai nessuno si era accorto di nulla?”.
Inutile dire che a questa domanda esistono una possibilità smisurata di risposte: ognuno di noi vive una propria storia di vita e l’interpretazione che si da al mondo o di quali azioni siano per noi le più adatte (giuste o sbagliate) sono considerazioni specifiche e peculiari per ogni singolo individuo. Ciò nonostante la domanda mi ha fatto pensare. Fateci caso, è quasi automatica durante il servizio al tg, la signora di turno che dice:
“Ah, è sempre stata una persona così a modo, non ci posso credere”
L’ometto meravigliato prosegue: “Qui lo conoscevamo tutti! Mai una sfuriata, mai un gesto fuori posto!”.
Salgo in macchina ed alla radio danno la Primavera di Vivaldi. Forse era solo all’interno di qualche pubblicità per detersivi, ma era lei. La conosciamo tutti, no? Almeno una volta l’abbiamo canticchiata.
Eppure quanti tra noi saprebbero realmente spiegare cosa vogliano in realtà esprimere quelle note tanto famigliari?
Forse qualcuno di noi si ricorderà ciò che sto per dirvi, le professoresse di musica ce lo hanno spiegato una, due, tre, quattro volte: ad ogni stagione, Vivaldi accompagna un sonetto dove spiega esattamente all’auditore ciò che sta ascoltando.
La Primavera, ad esempio, è divisa in tre parti: Allegro, Largo e pianissimo sempre ed un altro Allegro. Il primo movimento, ovvero il primo Allegro, ci racconta di come la Primavera sia arrivata e gli uccellini festosi la salutino, mentre i ruscelli scorrono tranquilli accompagnati dal soffio dolce dei venti Zeffiri.
L’aria intanto viene coperta di un manto nero, ed ad annunciarla sono i lampi ed i tuoni primaverili, che fanno tacere per un attimo gli uccelletti: torneranno ben presto comunque a cantare di nuovo. Ecco, questo è ciò che si cela dietro la Primavera di Vivaldi. Proviamo un attimo ad ascoltare il motivo e ci accorgeremo dell’entusiasmante differenza tra il nostro prima ed il dopo.
Pensiamo adesso a quante volte abbiamo sentito questo motivetto, e a quante poche volte invece lo abbiamo seriamente ascoltato ed apprezzato per la sua complessità. Lo abbiamo sentito così tante volte che spesso neppure ci accorgevamo più neppure che vi fosse nell’aria. Capita così anche con le persone, con i pazienti e con i colleghi di lavoro: per ciò che ci dicono e con le sofferenze che ci rivelano.
Tante volte siamo distratti e non cogliamo il vero senso delle parole o dei gesti. Questo può essere l’anticipazione del “Era un uomo così educato, sempre gentile..”; ma come anche in reparto di tanti nostri “Non so proprio cosa abbia ancora da lamentarsi”, “Oggi quello della 25 è davvero insopportabile”, “Niente: è un pianto unico. Non so cosa fare!”.
Quante volte ci capita, per stanchezza o disattenzione, di prestare poco ascolto ai nostri pazienti?
Vi è mai capitato di accorgervi solo dopo un fatto spiacevole, che qualcosa si poteva evitare, magari con una parola o una domanda in più? O forse non si poteva evitare, non possiamo sempre controllare tutto. E poi, tutti noi abbiamo un collega un po’ sopra le righe, quello che sa sempre tutto di tutti i pazienti e come trattare ogni singolo caso: lui che dice sempre che le persone le capisce, così, ad occhio – ma le ascolta veramente?
Non è per nulla facile ascoltare. Serve impegno e pratica. Serve concentrazione. È un po’ come andare in palestra o cominciare una dieta: i primi momenti sono i più difficili. Perché occorre rompere degli schemi a cui eravamo abituati, sottoporci a uno sforzo a cui non eravamo soliti.
Ma i risultati si vedono! Credetemi! Quando si comincia ad ascoltare, si ha una visione molto più ricca del mondo ed affascinante e completa. Allora riusciremo tutti noi a gestire meglio i rapporti, a capire meglio i pazienti e soprattutto ad ascoltare noi stessi in maniera più consapevole. Perché le prove più difficili sono quelle di un ascolto attivo su noi stessi: riuscire a cogliere la nostra tonalità significa riuscire poi ad accordarla con quella degli altri, e viceversa.
Per cui proviamo a riflettere su ciò che sentiamo, e proviamo a tramutarlo in qualcosa che ascoltiamo. Facciamo una domanda in più, non lasciamo correre senza raccogliere i veri significati delle parole dette: alleniamoci ad ascoltare. Allora qualsiasi relazione prenderà una sonorità differente, magari non necessariamente più bella, ma sicuramente più accordata e quindi più facile da capire. E forse così riusciremo a tramutare l’ospedale o il nostro posto di lavoro in un posto più chiaro e ricco, in tutte le stagioni dell’anno.
Come allenarsi all’ascolto?
Di seguito il sonetto completo della Primavera di Vivaldi e la sua parafrasi. Cominciamo da qui:
Ringraziamo il dottor Giuseppe Marino per l’interessante disamina e Vi aspettiamo tra sette giorni con un nuovo episodio di PsicoPoint.
Il prossimo articolo parlerà dell’evoluzione del ruolo dell’infermiere, con un consiglio pratico per migliorare il proprio futuro professionale!
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