È stato presentato a Roma il 21° Rapporto Ospedali&Salute “Reinventiamo il Servizio Sanitario. Come evitare la deriva di una Sanità per Censo”, promosso da Aiop, l’Associazione Italiana delle aziende sanitarie ospedaliere e territoriali e delle aziende socio-sanitarie residenziali e territoriali di diritto privato, e realizzato in collaborazione con il Censis.
Il Rapporto è un documento unico nel suo genere che, da sempre, coniuga le più accurate evidenze elaborate dal ministero della Salute, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, da Agenas e da altri osservatori privilegiati con l’esperienza dei cittadini-pazienti. Il primo risultato è la sovrapposizione che si realizza tra i due punti di vista, quello della percezione diretta degli utenti e quello degli erogatori del Ssn, nelle sue articolazioni di diritto pubblico e di diritto privato.
La sacralità del Servizio sanitario nazionale per gli italiani
L’89% degli italiani ritiene che il Servizio sanitario nazionale sia un pilastro della nostra società. Uno spazio “sacro” dove ridimensionare le diseguaglianze territoriali, socio-economiche e culturali. Il 90,5% dei pazienti ritiene positiva o comunque sufficiente la qualità delle prestazioni ricevute. Si tratta di una soddisfazione che il Rapporto Censis-Aiop registra ovunque, anche nelle aree del Mezzogiorno.
Le barriere all’accesso alle prestazioni sanitarie
Il problema risiede, tuttavia, nel riuscire a usufruire dei servizi sanitari nell’ambito del Ssn. Secondo l’indagine, il vulnus del sistema è proprio la sua impermeabilità, in termini di barriere all’ingresso. Il 53,5% degli italiani si trova ad affrontare tempi di attesa eccessivamente lunghi rispetto all’urgenza della propria condizione clinica; il 37,4% segnala la presenza di liste bloccate o chiuse, nonostante siano formalmente vietate.
La fuga nella sanità a pagamento
Ecco che ogni 100 tentativi di prenotazione nel Ssn, la quota di popolazione che rinuncia e si rivolge alla sanità a pagamento è del 39,4% (il 34,4% dei bassi redditi). In particolare, il 12% ricorre all’intramoenia (la sanità privata nelle strutture pubbliche) e il 18% al privato puro.
Il 51,6% degli italiani sceglie direttamente la sanità a pagamento, senza provare a prenotare nel Ssn – inteso in tutto il Rapporto Ospedali&Salute sia nella sua componente di diritto pubblico sia nella sua componente di diritto privato – una quota alta anche tra la popolazione a basso reddito (40,6%). Si tratta di forze centrifughe al Ssn confermate da una spesa sanitaria privata degli italiani che rappresenta circa 1/4 della spesa sanitaria totale.
Orazio Schillaci, ministro della Salute, ha dichiarato: “Dal Rapporto Censis-Aiop emergono tanti punti di forza e molte criticità. Così come emerge anche dai dati Ocse – rispetto ai quali la sanità italiana è ai primi posti – il Ssn ha una elevata capacità di garantire le cure migliori ai propri cittadini ma non possiamo ignorare come essi sperimentino continue barriere all’accesso alle prestazioni. Mi riferisco ai tempi d’attesa eccessivamente lunghi, a liste addirittura bloccate”.
E ancora: “Mi riferisco alle persone che rinunciano a priori a curarsi, atteggiamento questo di sfiducia, una rappresentazione di una sanità in crisi. Bisogna partire dal dato che emerge nel Rapporto per il quale i cittadini italiani sono interessati alla qualità e non se la struttura che eroga le prestazioni sia di diritto pubblico o se privata convenzionata e occorre rimuovere gli ostacoli che incontrano soprattutto le persone meno abbienti: questa è la nostra priorità per realizzare una sanità universalistica e equa. Ringrazio, quindi, Barbara Cittadini per i tanti stimoli e idee che mi invia quotidianamente e che tengo sempre in considerazione”.
Per Barbara Cittadini, presidente nazionale Aiop:
“Il Rapporto dimostra una perfetta sovrapposizione tra l’esperienza diretta degli italiani, rilevata dall’indagine Censis-Aiop, e i principali dati di sistema elaborati da Agenas e del Ministero della Salute. Questa sovrapposizione – spiega Cittadini – emerge, innanzitutto, rispetto alla duplice natura del Servizio sanitario nazionale, la quale si manifesta nella distribuzione dei posti letto accreditati (69% nella componente di diritto pubblico e 31% nella componente di diritto privato) nonché in una simile ripartizione delle giornate di degenza. Le strutture di diritto privato erogano quote importanti di prestazioni ad alta complessità. Ad esempio, dal 25% al 40% (a seconda della sede della neoplasia) di interventi per tumore maligno”.
Sempre Cittadini: “Questo contributo si sostiene con il solo 13% della spesa ospedaliera pubblica totale. Del ruolo della componente di diritto privato nel Servizio sanitario nazionale è consapevole, anche, il 68,5% degli italiani che non fa distinzione a seconda della natura giuridica delle strutture e che considera rilevante solo la qualità delle prestazioni ricevute; per più di un italiano su due la presenza delle strutture accreditate rappresenta una necessità, in considerazione della difficoltà degli ospedali di diritto pubblico nel rispondere in tempi appropriati ai bisogni di cura delle persone”.
Ha concluso Cittadini: “Una prima importante scelta in questa direzione è stata, finalmente, compiuta nell’ultima manovra di bilancio, la quale non si è limitata a stanziare risorse ad hoc per la riduzione delle liste d’attesa ma ha infranto quel ‘tetto di cristallo’ che avendo, per decenni, limitato le Regioni all’acquisto di prestazioni dalla nostra componente, ha depauperato quali-quantitativamente la capacità di risposta del sistema. Questo è il segno tangibile di quell’auspicato cambio di paradigma che appare possibile solo superando con raziocinio e buon senso ogni pregiudizio e anacronistica ideologia”.
Giorgio De Rita, segretario generale Censis, ha affermato:
“Il Servizio sanitario resta tra le istituzioni più apprezzate dagli italiani e i medici, gli infermieri e gli altri operatori beneficiano di una elevata fiducia da parte dei cittadini. Tuttavia sono ormai evidenti criticità, a cominciare dall’eccessiva lunghezza delle liste di attesa, esito di processi regressivi iniziati molto indietro nel tempo. Per questo è urgente ampliare e gestire con maggior efficienza le risorse pubbliche investite in sanità. Sarà così finalmente possibile rispondere alle aspettative di qualità ed equità dei cittadini, contrapponendosi alla pericolosa deriva verso una sanità per censo”.
Secondo Beatrice Lorenzin, componente della 5ª Commissione Programmazione economica, Bilancio, Senato della Repubblica:
“Dobbiamo evitare che le persone riescano ad accedere a un servizio sanitario soltanto se hanno delle risorse proprie o se hanno un’assicurazione. C’è un tema di difficoltà di accesso, quindi di rinuncia alle cure e un tema di disuguaglianze dei trattamenti sanitari Regione per Regione. Se non vogliamo rinunciare all’universalità del Ssn, sicuramente abbiamo bisogno di capire quanto siamo disponibili a spendere sul Ssn, dobbiamo avere la forza di riformarlo in quegli aspetti di organizzazione e programmazione che adesso necessitano di un cambiamento di prospettiva. In più, dobbiamo recuperare 30 miliardi che sono di fatto spesi out of pocket, spesso non appropriati, dai cittadini, quindi reinserirli nel nostro Ssn. Infine, tutti questi problemi non ci sarebbero se non ci fossero più di 100 miliardi di evasione fiscale”.
Davide Faraone, capogruppo XII Commissione Affari sociali, Camera dei deputati, ha sottolineato:
“Mi ha colpito il fatto che su alcuni aspetti la sanità italiana è peggiorata rispetto al periodo pre pandemico. Avevamo detto che dopo la pandemia avremmo investito di più in sanità e invece dal Rapporto emerge che non è così e questo mi preoccupa. Inoltre, il Governo continua a non investire in ambito sanitario e se non mettiamo più soldi non potremo azzerare le liste d’attesa, non potremmo avere più medici e infermieri, non potremo sostenere la sanità privata, che svolge un ruolo importantissimo nel nostro Paese. In questo senso, non aver preso le risorse del Mes per noi è stato un errore clamoroso”.
Ylenja Lucaselli, presidente Collegio d’Appello, capogruppo V Commissione Bilancio, tesoro e programmazione, Camera dei deputati, ha dichiarato:
“È importante recuperare da questa indagine un dato fondamentale, cioè che la sanità pubblica può e deve essere supportata dalla sanità accreditata. Non dobbiamo raccontare bugie agli italiani, la sanità accreditata è gratuita tanto quella pubblica ed è un pilastro decisivo per aumentare il livello qualitativo della prestazione sanitaria italiana. Dobbiamo partire dalla razionalizzazione della spesa, cioè utilizzare meglio i fondi pubblici, altrimenti nessun investimento è sufficiente. Questo Governo ha investito delle risorse, ma è importante impiegarle bene. Oggi non possiamo permetterci di pensare alla sanità come se fossimo 50 anni indietro, non possiamo non considerare la prevenzione come elemento essenziale della salute. Una buona gestione del singolo nel sistema oggi è un fattore fondamentale”.
Per Elena Murelli, componente 10ª Commissione Affari sociali, Sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale, Senato della Repubblica:
“Il nostro Sistema sanitario deve essere innovato e rinnovato attraverso una semplificazione dei processi a 360 gradi. Occorre identificare le buone pratiche regionali e anche internazionali da replicare su tutto il territorio nazionale per seguire meglio il paziente dalla diagnosi alla cura nelle diverse patologie fino all’aderenza alle terapie. È essenziale rimuovere i problemi di gestione della privacy e, inoltre, promuovere l’interoperabilità dei diversi sistemi territoriali e dei dati per permettere una migliore analisi dei dati e promuovere la ricerca di nuove terapie anche personalizzate per un servizio completo ai cittadini”.
Secondo Domenico Mantoan, direttore generale Agenas:
“Il sistema ospedaliero soffre del fatto che abbiamo deciso di avere il più basso numero di posti letto ospedalieri; dall’altra parte le strutture private accreditate, che sono sistema pubblico a tutti gli effetti, hanno budget e tariffe bloccate da 12 anni: si tratta di un unicum italiano. Dobbiamo considerare questo quando diciamo che il cittadino fa fatica a prenotare le prestazioni al CUP e che i volumi non sono sufficienti. D’altra parte, l’attività del pubblico non è ancora tornata ai livelli del 2019, pur essendoci più risorse economiche e più personale. Serve monitorare l’efficienza organizzativa per orientare le risorse verso chi le sa usare meglio”.
Sempre Mantoan: “Siamo di fronte a un sistema che sta facendo scivolare i cittadini verso la sanità a pagamento. Si sta concretizzando un secondo pilastro di finanziamento parallelo a quello pubblico: anche gli infermieri oggi chiedono sanità integrativa e welfare aziendale. È sintomo di insicurezza nei confronti del Ssn. Il Ministero della Salute deve riappropriarsi di un ruolo anche di programmazione, fermo restando la natura regionale della sanità. Pensiamo a quegli ospedali che sono ormai di riferimento nazionale per il trattamento di determinate condizioni. Bisogna prenderne atto”.
E ancora: “Per quanto riguarda le liste d’attesa, oggi conosciamo solo quelle percepite. Non abbiamo a livello informativo contezza né siamo in grado di misurarle. L’auspicio è la creazione di un sistema in cui un soggetto terzo, penso ad Agenas, attraverso l’informatizzazione, possa monitorare l’efficienza organizzativa, anche in termini di tempi di erogazione delle prestazioni, e dare risposte adeguate ai cittadini”.
Angela Adduce, ispettore generale capo dell’Ispettorato generale per la spesa sociale della Ragioneria generale dello Stato, ministero dell’Economia e delle finanze, ha sottolineato:
“Quello che vorrei chiedere, oggi, al Servizio sanitario nazionale è di ricominciare a produrre dopo lo shock Covid. Nonostante l’afflusso finanziario importante, il Ssn non è ancora in grado di esprimere una risposta adeguata: è un problema di organizzazione e di efficientamento. Il Ssn ha bisogno di recuperare una produttività attraverso l’impiego di manager che siano capaci di gestire efficacemente le risorse e occorre iniziare a parlare non solo di quanto si spende ma di come si spende, della qualità, cioè, della spesa”.
Americo Cicchetti, direttore generale, ex direzione generale della Programmazione sanitaria, ministero della Salute, ha dichiarato:
“Per far funzionare il Ssn occorre realizzare un sistema basato su un aggiornamento continuo delle procedure più efficaci, del valore delle tariffe necessarie a rimborsarle e su un sistema di controllo. Nel contesto di oggi, con la disponibilità di dati e di informazioni che abbiamo, non dobbiamo più pagare le prestazioni, ma dobbiamo pagare la salute: servono meccanismi ibridi di rimborso, pesando i drg sulla base degli esiti degli interventi e dei trattamenti sanitari”.
Per quanto riguarda la Legge sulla concorrenza in Sanità, che riguarda oggi le sole strutture di diritto privato, Cicchetti ha evidenziato che sono in corso interlocuzioni tra il ministero e l’Autorità garante per il mercato e la concorrenza: “La materia è molto delicata a partire dal fatto che gli erogatori non possono cambiare continuamente perché i pazienti devono essere seguiti nel tempo e la presa in carico deve avere continuità e perché occorre favorire gli investimenti, i quali hanno bisogno di prospettive di lungo termine per essere ammortizzati”.
Sulle liste d’attesa Cicchetti ha ricordato che in un Servizio sanitario nazionale i tempi di attesa sono fisiologici e necessari per governare la domanda di salute. Il problema è quando i tempi non sono compatibili con l’urgenza della prestazione: “Entro luglio sarà pronto il Piano di governo delle liste d’attesa che farà leva sulla messa a sistema dei CUP e sull’analisi del fabbisogno reale, in termini di prestazioni attese dalla popolazione”.
Redazione Nurse Times
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