La presidente Mangiacavalli valuta positivamente l’ufficializzazione emersa dall’intesa Stato-Regioni. Anche perché quasi l’80% degli iscritti agli Opi sono donne.
“Il 78% degli infermieri in servizio (quasi 300mila) sono donne. E lo sono quasi l’80% degli iscritti agli Ordini delle professioni infermieristiche. La medicina di genere per la nostra categoria professionale non è importante solo dal punto di vista di personalizzazione delle cure, ma anche per le differenze legate al mondo del lavoro e all’organizzazione dello stesso, con tutte le diverse conseguenze che queste situazioni hanno nella differenza di genere. Le infermiere sono professioniste che hanno affrontato un lungo e severo percorso di studi universitari, completato da stage e perfezionamenti. Ma sono anche donne che molto spesso devono affrontare, oltre al normale peso dell’attività lavorativa, anche una responsabilità familiare e domestica che questa società, e la cultura del nostro paese, tende purtroppo ancora oggi a delegare eccessivamente alla donna. Il valore aggiunto e quello sociale per la nostra professione sono quindi evidenti. E questo dovrebbe valere anche per i percorsi di carriera”.
Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), il maggiore d’Italia con i suoi oltre 450mila iscritti, per la maggior parte donne, valuta positivamente l’intesa Stato-Regioni che prevede l’ufficializzazione della medicina di genere nel nostro Paese con un Piano nazionale ad hoc, ma sottolinea e ricorda che gli infermieri non sono solo responsabili dell’assistenza ai cittadini, prestando quindi particolare attenzione al genere, ma sono anche in gran parte donne.
E i numeri seguono le differenze geografiche: analizzando i dati per singola Regione, si scopre che in tutte quelle dove ad esempio è più sviluppato il concetto di continuità assistenziale, di strutture infermieristiche autonome e di assistenza territoriale (praticamente tutto il Nord con la Toscana per il Centro e unica eccezione la Sardegna per il Sud), la percentuale di presenza femminile supera sempre l’80% ed è quasi sempre sopra l’86-87% nelle Regioni a statuto speciale (sempre del Nord). Al contrario, le percentuali più basse sono nelle Regioni del Sud e in piano di rientro: 58,6% in Sicilia, 56,1 in Campania, 63,6 in Calabria. Dove cioè l’assistenza è praticamente “ferma” all’ospedale.
“Con il nuovo Piano nazionale ci si adegua finalmente alle definizioni internazionali, Oms in testa – sottolinea Mangiacavalli –, che valutano l’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona: uomini e donne presentano spesso, secondo l’Oms, differente incidenza, sintomatologia e anche risposta alle terapie e hanno diverse reazioni anche in base all’accesso alle cure con disuguaglianze rilevanti legate al genere. Ma del resto noi infermieri abbiamo insita nella nostra professione, che risponde ai bisogni personalizzati della persona e non alla patologia, ben chiaro il tema della personalizzazione delle cure. Questo Piano si incontra quindi con assoluta coerenza al nostro agire professionale specifico”.
“Nel piano – aggiunge – c’è un obiettivo specifico: la nostra Federazione, assieme ad altre, ha il compito di proporre raccomandazioni e documenti per specifici percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali (Pdta). Anche considerando il ruolo che gli infermieri hanno da sempre nell’assistenza, proprio in questo tipo di percorsi rivestono compiti fondamentali, sia in ospedale, ma soprattutto nel momento in cui l’assistito esce dalle strutture e torna alla sua vita di tutti i giorni. Per gli infermieri, la cui maggioranza è donna, questo ragionamento vale ancora di più, e per questo è importante che la nostra professione sia inserita a pieno titolo anche in altri aspetti del Piano, come la Rete italiana per la medicina di genere o quelle che il Piano prevede come reti specialistiche multidisciplinari per garantire la continuità assistenziale”.
“La medicina di genere – conclude la presidente Fnopi – fa parte del nostro Dna. Anche il nostro nuovo Codice deontologico lo dimostra quando prevede in uno specifico articolo che ‘l’infermiere cura e si prende cura della persona assistita, nel rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza, delle sue scelte di vita e concezione di salute e benessere, senza alcuna distinzione sociale, di genere, di orientamento della sessualità, etnica, religiosa e culturale; si astiene da ogni forma di discriminazione e colpevolizzazione nei confronti di tutti coloro che incontra nel suo operare’. Non è una questione solo di essere uomini o donne quindi, ma di rispetto e considerazione della persona assistita. La prima caratteristica della nostra professione, quella che identifica l’essere infermieri”.
Redazione Nurse Times
Lascia un commento