La vicenda risale al giorno di natale del 2017. Un imputato era in servizio alla centrale operativa del 118, l’altro a bordo dell’ambulanza (VEDI)
Due infermieri dell’ospedale di Perugia sono sotto processo per omicidio colposo in seguito al decesso di un uomo di 55 anni per “insufficienza cardiocircolatoria acuta su base aritmica”, sopraggiunto dopo il pranzo di Natale del 2017.
I due dipendenti del Santa Maria della Misericordia, di 38 e 58 anni, sono ritenuti responsabili dalla Procura di “aver privilegiato l’ipotesi meno grave di gastroenterite sulla base dei sintomi di vomito e diarrea, che non imponevano l’invio dell’ambulanza medicalizzata, rispetto alla alternativa della ricorrenza di patologia cardiovascolare, anche significativa, ipotizzabile sulla base del riferito quadro di ipertensione arteriosa e di dolore toracico”. L’udienza è stata rinviata al 23 gennaio 2020 per l’astensione dei penalisti.
Arrivano le precisazioni dell’ospedale Santa Maria della Misericordia: ambulanza con elettrocardiografo e defibrillatore. Per 40 minuti il paziente ha risposto positivamente.
Il caso che vede coinvolti due infermieri per la morte (colposa) di un paziente, solo un professionista può conoscere la differenza tra infarto e aritmia maligna (la stessa che si è portata via il calciatore Astori e, nonostante tutte le apparecchiature e le manovre, il paziente sia deceduto lo stesso.
“L’ambulanza del 118 giunta sul posto dopo la chiamata era fornita di tutta la strumentazione – dice il responsabile infermieristico del 118 del Santa Maria della Misericordia, Giampaolo Doricchi – Quindi elettrocardiografo e defibrillatore, così come prevedono le norme nazionali e quelle regionali”.
Non si può parlare, quindi, di mancanza di strumenti nell’intervento. L’assenza del medico, invece, era dovuta al fatto che al momento della chiamata non vi erano ambulanze libere, tranne quella che poi si è recato sul posto, appena rientrata da un intervento, ma senza medico. Il quale è giunto subito sul luogo dell’intervento al momento che l’equipaggio ha chiamato segnalando la situazione.
“Il personale intervenuto si è subito reso conto che non si trattava di un infarto, ma di un’aritmia maligna e l’unica terapia in questi casi è la rianimazione e poi la defibrillazione – afferma Doricchi – E così è stato fatto, con estrema professionalità, tanto che per quaranta minuti vi è stata attività elettrica. Poi il cuore non ha risposto alla scarica del defibrillatore”.
Questa la situazione ricostruita dal personale intervenuto, anche confermata dall’autopsia e adesso sottoposta al vaglio della magistratura.
Lascia un commento