Nel corso del “Graduation Day” tenutosi presso l’Università Cattolica di Roma, il presidente dell’INPS Tito Boeri ha affermato che la generazione di lavoratori nati dopo il 1980 rischi di non poter andare in pensione prima dei 75 anni
L’Inps ha analizzato i dati riguardanti la classe 1980: un lavoratore tipo avrebbe “una discontinuità contributiva, legata probabilmente a episodi di disoccupazione, di circa due anni”. Proprio questo vuoto contributivo posticiperebbe il raggiungimento della pensione, ritardando quel traguardo.
Alessandro Actis Perinetto, Infermiere e sindacalista del Nursing Up ha rivolto un’interessante lettera al presidente INPS che trovate di seguito:
Presidente Tito Boeri,
sono nato nel 1980, e sapere che forse mi toccherà lavorare altri 40 anni prima di riuscire ad andare in pensione è stata una notizia che mi ha raggelato il sangue. Prima di tutto perché lavoro come infermiere: sono dipendente della Città della Salute di Torino, un grande ospedale con un enorme bacino di utenti. Il personale è limitato, complici i continui tagli alla spesa pubblica, e chi è in servizio è costretto a occuparsi di più mansioni e a prendersi più responsabilità alla volta. Il carico emotivo e fisico che dobbiamo gestire è notevole, anche se, paradossalmente, il nostro non è riconosciuto come lavoro usurante. Spesso, ancora prima dei 40 anni, soffriamo di mal di schiena o di dolori alle articolazioni, o ancora di patologie legate allo stress e riconducibili al lavoro: non riesco davvero a immaginare me e i colleghi, a 74 anni, intenti a occuparci di pazienti che potrebbero avere vent’anni meno di noi.
Da anni sono un dipendente, assunto dopo avere vinto il concorso. Ma, mentre frequentavo l’università, ho lavorato in un call center, in un bar, in una scuola. Mi chiedo quanti siano quelli che hanno avuto la fortuna di poter saltare la gavetta e le occupazioni temporanee, che sicuramente rappresentano una fase di discontinuità contributiva e che, come lei ha previsto, faranno slittare l’età della pensione.
Penso anche ai miei coetanei che, dopo tre o cinque anni di università e magari anche un master, nonostante la buona volontà sono ancora precari (tra questi, tantissimi laureati in Infermieristica, magari costretti a trasferirsi all’estero o, se non lo fanno, ad accettare pessime condizioni di lavoro o il demansionamento, con contratti a tempo determinato o in nero). La loro situazione contributiva è sicuramente ancora più svantaggiata, e non voglio immaginare fino a quando saranno costretti ad arrabattarsi fra lavori precari (perché, diciamocelo, a 36 anni, il sogno di un contratto vero, per chi ancora non l’ha avuto, inizia a sfumare per sempre).
Lei dice che «non vuole terrorizzare», ma ci spieghi come possiamo provare a pensare senza terrore al nostro futuro.
Alessandro Actis Perinetto
Infermiere e sindacalista del Nursing Up
Considerato che sempre più spesso i neolaureati infermieri devono accettare condizioni contrattuali e lavorative incredibili, ha davvero senso investire tempo e denaro per diventare infermiere o per laurearsi in qualsiasi settore?
Vista la disoccupazione galoppante che affligge i laureati italiani e il riconoscimento economico che mediamente ottengono non sarebbe meglio iniziare a lavorare a 18 anni con la speranza di poter andare in pensione prima dei 75 anni?
Entro fine anno ogni lavoratore riceverà una raccomandata dall’INPS contente la propria situazione retributiva e la previsione di uscita dal lavoro.
Attendiamo con ansia ulteriori informazioni.
Simone Gussoni
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