In questi giorni, la FNOPI si è espressa circa la necessità di “dare spazio ai docenti infermieri” (VEDI). E per tale motivo, ha richiesto al governo e al MIUR che, considerando l’urgenza di acquisire docenti del SSD MED 45, le Università provvedano almeno alla immediata chiamata di chi è in possesso dell’Abilitazione Scientifica Nazionale. Ma siamo proprio sicuri che servano “docenti”? La collega Paola Arcadi ha affidato a Facebook una riflessione tanto amara quanto interessante sull’argomento
“Io sono un docente universitario a contratto gratuito.
Sapete cosa significa? Bandi di insegnamento annuali, criteri di attribuzione degli incarichi non omogenei, precarietà nella progettazione didattica, discontinuità del percorso formativo, nessun riconoscimento decisionale, remunerazione ZERO.
E come me, un esercito di infermieri, che rappresentano la pressoché totalità delle funzioni di insegnamento all’interno delle nostre università italiane, tralaltro moltissimi dei quali senza alcun percorso formativo specifico in ambito di insegnamento o di ricerca accademica.
Dunque non servono DOCENTI, come dice l’incipit dell’articolo, servono formatori universitari strutturati. E non 15 o 20, ma l’intero settore. Perché il problema non è solo di riconoscimento formale di competenze dei singoli, quanto piuttosto di riconoscimento dello sviluppo di una disciplina.
Ma può mai un sistema sentirsi sollecitato ad andare in una direzione differente, fintanto che questo esercito di professionisti continua a reggere dignitosamente il tutto, tralaltro in una modalità per nulla onerosa?
Ecco il cuore del problema, a mio avviso. Un problema che chiama la responsabilità delle istituzioni, ma ancor di più e anzitutto chiama in causa la professione stessa. Con onestà intellettuale, quante volte accade di sentirsi al ‘mercato’ dei bandi annuali, per i quali partecipano colleghi con formazione e competenze tra le più disparate, su moduli di insegnamento estremamente eterogenei? Come possiamo qualificare le nostre competenze distintive se partecipiamo a bandi nonimportaquali, basta assicurarsi una docenza da inserire nel curriculum?
E ancora: quali modelli disciplinari proponiamo e come pensiamo di potenziare il settore se siamo pieni di atenei nei quali non esistono filoni di ricerca disciplinare infermieristica?
La questione è complessa, e come tutti i fenomeni complessi richiederebbe interventi su più fronti, coordinati e coraggiosi. Grazie a FNOPI per questo pronunciamento doveroso, e che sia affiancato da chi, a tutti i livelli di interessamento, interviene nel processo di formazione dei nostri futuri professionisti, che chiedono e meritano un percorso universitario degno di questo nome.”
Paola Arcadi
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