Pubblichiamo la nota FIALS Puglia in riferimento alle ultime “Indicazioni in tema di obblighi vaccinali per gli operatori sanitari” diramate dalla Regione Puglia.
Faccio riferimento alle ultime “Indicazioni in tema di obblighi vaccinali per gli operatori sanitari” diramate dalla Regione Puglia con nota indirizzata – tra gli altri – alle OO.SS., seppur pervenuta alla FIALS Puglia con almeno un giorno di ritardo dalla sua diramazione e comunque solo dopo la nostra nota di protesta prot. 676 del 28/10/2020, per evidenziare quanto segue
Nel merito del documento in oggetto, nel mentre appaiono condivisibili le finalità perseguite con la profilassi vaccinale (sicurezza delle cure e protezione degli operatori sanitari dal rischio di esposizione e successiva trasmissione di agenti patogeni), altrettanto non può dirsi per il metodo utilizzato.
È ben noto alla FIALS l’intervento della Corte Costituzionale rispetto alle questioni di legittimità costituzionale sollevate con riferimento agli artt. 1, co. I e II, 4 e 5, L.R. Puglia n. 27/2018, dovendosi qui precisare che le disposizioni hanno (in parte) resistito al vaglio grazie a una interpretazione orientata a valorizzarne la genesi, il dato testuale, il contenuto, la ratio oggettiva e la finalità.
Sulla scorta di tale premessa la Consulta ha affermato che gli impugnati art. 1, comma 1, e artt. 4 e 5 della legge reg. Puglia n. 27 del 2018 “dettano esclusivamente una disciplina sull’organizzazione dei servizi sanitari della Regione, senza discostarsi dai principi fondamentali nella materia «tutela della salute» riservati alla legislazione statale ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., senza introdurre obblighi vaccinali di nuovo conio e, comunque, senza imporre obbligatoriamente ciò che a livello nazionale è solo suggerito o raccomandato”.
Le disposizioni innanzi richiamate hanno superato lo scrutinio della Consulta anche rispetto alla dedotta violazione del principio di uguaglianza scolpito nell’art. 3 Cost. perché, interpretate come sopra, “non introducono alcun obbligo vaccinale ulteriore rispetto a quelli già indicati a livello statale e dunque non determinano alcuna asimmetria sul territorio nazionale”.
E’ appena il caso di aggiungere che il contrasto tra la leggislazione regionale e l’art. 32 Cost. è stato espressamente escluso dal Tribunale delle Leggi solamente dopo aver escluso che “la legge in esame imponga agli operatori sanitari l’effettuazione di trattamenti vaccinali non previsti dalla legislazione statale”.
Per quanto riguarda invece l’art. 5 della L.R. n. 27/2018, la disposizione è evidentemente sfuggita alla declaratoria di illegittimità costituzionale solo perché la Consulta, interpretandone rettamente la portata, ha affermato che l’unica condotta sanzionabile dalla norma è quella consistente nell’accesso, da parte degli operatori sanitari che non si siano attenuti alle indicazioni del PNPV, ai reparti individuati con la deliberazione della Giunta.
Nel chiarire questo aspetto, corrisponde a verità che la Consulta ha affermato che “la Regione ha legittimamente disciplinato in forza della sua competenza in materia di tutela della salute e nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale”, ma occorre riportare anche quanto ribadito qualche rigo dopo: ovvero “deve escludersi che possa essere sanzionato l’eventuale rifiuto opposto dai medesimi operatori sanitari di sottoporsi ai trattamenti vaccinali raccomandati dal PNPV per i soggetti a rischio per esposizione professionale”.
A giudizio dello scrivente è dunque entro i suddetti limiti che gli artt. co. I, 4 e 5, L.R. Puglia n. 27/2018 hanno superato il vaglio della Consulta, che, di contro, è giunta a conclusioni opposte rispetto all’art. 1, co. II, della L.R. in esame, in quanto l’intervento regionale ha invaso un ambito riservato al legislatore statale “sia in quanto inerente ai principi fondamentali concernenti il diritto alla salute, come disposto dall’art. 117, terzo comma, Cost., che riserva allo Stato «il compito di qualificare come obbligatorio un determinato trattamento sanitario, sulla base dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili» (sentenza n. 5 del 2018; analogamente sentenza n. 169 del 2017), sia perché attinente alla riserva di legge statale in materia di trattamenti sanitari di cui all’art. 32 Cost., riserva che, a sua volta, è connessa al principio di eguaglianza previsto dall’art. 3 Cost.”.
Per quanto sopra esposto, non ci sembra corretto richiamare solo per stralci le motivazioni rese dalla Corte Costituzionale nel giudizio di legittimità sulle più volte citate disposizioni di Legge Regionale, omettendo invece di richiamare anche i passaggi, sui quali confidiamo di aver definitivamente chiarito, in cui è autorevolmente e incontrovertibilmente affermato che la Regione Puglia non può introdurre alcun obbligo vaccinale.
Per le ragioni sopra esposte, è corretto affermare che l’art. 5, L.R. n. 27/2018 può giustificare l’applicazione di una sanzione amministrativa da € 500,00 a € 5.000,00 con la seguente precisazione: la condotta sanzionabile non è quella dell’operatore sanitario che rifiuti di sottoporsi alla vaccinazione, bensì quella dell’operatore sanitario che non si attenga alle indicazioni del PNPV e, cionondimeno, acceda ai reparti individuati con la deliberazione della Giunta Regionale.
Appare in tutta la sua evidenza che al di fuori di questa specifica ipotesi non vi è alcun margine per l’applicazione della sanzione amministrativa.
E non a caso, mentre esprimevamo il nostro motivato avviso sulla possibilità o meno di ipotizzare l’introduzione di un obbligo di vaccinazione da parte della Regione Puglia, il T.A.R. del Lazio, con la recentissima sentenza del 16 ottobre 2020, n. 10600, ribadiva che, secondo gli insegnamenti della Consulta:
- la vaccinazione obbligatoria è tematica riservata alla competenza statale. Il confine tra terapie ammesse e non ammesse, o meglio tra trattamenti obbligatori e non obbligatori (oppure raccomandati, come nel caso dei vaccini), rientra tra i principi fondamentali della materia “tutela della salute” e deve dunque essere stabilito dallo Stato;
- ciò anche allo scopo di garantire “misure omogenee su tutto il territorio nazionale”;
- la scelta tra obbligo o raccomandazione ai fini della somministrazione del vaccino costituisce in particolare il punto di equilibrio, in termini di bilanciamento tra valori parimenti tutelati dalla Costituzione (nonché sulla base dei dati e delle conoscenze scientifiche disponibili), tra autodeterminazione del singolo da un lato (rispetto della propria integrità psico-fisica) e tutela della salute (individuale e collettiva) dall’altro lato. Tali operazioni di bilanciamento vanno pertanto riservate allo Stato (cfr. altresì, su temi analoghi: Corte cost. n. 169 del 12 luglio 2017; n. 338 del 14 novembre 2003; n. 282 del 26 giugno 2002; n. 258 del 23 giugno 1994).
Condivisibilmente, pertanto, si afferma anche in tale recentissima pronuncia del Giudice Amministrativo che, al di là della ragionevolezza della misura che stabilisce l’obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari, la sua introduzione non rientra nella sfera di attribuzioni regionale ma, semmai, soltanto in quella statale. Sede quest’ultima cui va dunque ascritta ogni competenza e responsabilità – anche di matrice politica – in merito alla decisione di introdurre o meno obblighi di questo genere.
In attesa di urgente cenno di riscontro, l’occasione mi è gradita per inviare distinti saluti.
Massimo Mincuzzi, Segretario Generale
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