Anche nei pazienti ultra-ottantennni la procedura invasiva per il trattamento di un infarto del miocardio senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) si associa a una maggiore sopravvivenza. Lo spiega un nuovo studio inglese coordinato da Amit Kaura, dell’Imperial College di Londra e pubblicato su The Lancet.
I ricercatori hanno esaminato i dati relativi a 1.500 persone, con un’età media di 86 anni. Il 56% dei partecipanti aveva ricevuto un trattamento non invasivo per il NSTEMI e, durante un follow-up mediano di tre anni, il 41% è morto. Secondo i ricercatori, la mortalità cumulativa ‘aggiustata’ a cinque anni era del 36% con la gestione invasiva e del 55% con la gestione non invasiva.
Oltre al vantaggio in termini di sopravvivenza, la gestione invasiva è anche associata a una minore incidenza di ricoveri per insufficienza cardiaca. Lo studio inglese ha evidenziato anche che i pazienti non erano a un maggior rischio di complicanze, quali ictus o emorragia, se ricevevano un trattamento invasivo.
“Il beneficio in termini di sopravvivenza osservato nello studio è sorprendente”, ha commentato Bjorn Bendz dell’Oslo University Hospital, co-autore di un editoriale che accompagnava la ricerca. “I risultati dello studio potrebbero aiutare a valutare meglio la relazione tra rischio e beneficio nel trattamento di questo difficile gruppo di pazienti”.
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