Gentile Direttore,
Le scrivo in relazione all’articolo pubblicato sulla Sua testata dal titolo “Montecatini, CGIL: L’infermiere sull’ambulanza non basta”.
Da infermiere, che tutti i giorni lavora in uno dei sistemi che conta il maggior numero di mezzi infermieristici del territorio toscano, prima ancora che da consigliere IPASVI di Firenze, Collegio che tanto si è battuto e si batte per tutelare e promuovere tra le altre anche questa professionalità specifica, non posso non chiedermi ancora una volta di cosa si stia parlando.
Dico “ancora una volta” perché incredibilmente ogni volta che in regione Toscana anche solo si provi a discutere di potenziare il livello infermieristico territoriale in emergenza urgenza, tentando delle razionalizzazioni, non tardano mai ad arrivare da più parti le solite levate di scudi, ovviamente strumentali.
Abbiamo visto, negli anni, sindacati medici fare esposti in Procura, poi respinti, e interrogazioni al Ministero, respinte anche quelle. Abbiamo visto Sindaci mettere veti all’apertura di mezzi infermieristici sul loro territorio, basati solo sulla evidente necessità di non rischiare voti (Il rischio in tal senso c’è, soprattutto se non si investe sull’educazione della popolazione all’uso dei servizi e se non si spiega correttamente il razionale delle scelte che si intraprendono) e mai sulla dimostrazione scientifica, inoppugnabile, di quanto si andava ad affermare.
Potrei continuare con decine di esempi, perché negli ultimi anni, specialmente da quando il mezzo “India” ha iniziato ad essere meglio strutturato nei progetti regionali e nella normativa, tante sono state le situazioni sopra descritte.
Oggi assistiamo, increduli, anche ad una presa di posizione in tal senso da esponenti di una delle più importanti sigle sindacali.
Riporto virgolettato dal vostro articolo: “Sul profilo della valorizzazione della professione infermieristica la Cgil si è schierata da sempre al fianco delle professionalità sanitarie ad ogni livello. Ma riteniamo che il servizio in grado di dare maggiori risposte ai cittadini sia quello fornito da un team di intervento immediato costituito da un medico specialista e da un infermiere. E per questo motivo crediamo che l’ambulanza infermieristica (ove è presente solo l’infermiere) sia uno strumento utile, ma solo aggiuntivo per alcune tipologie di servizi e non sostitutivo del team multiprofessionale, in quanto ci sono compiti che l’infermiere non può svolgere per affrontare immediatamente tutte le casistiche assistenziali in interventi di emergenza ed urgenza”.
Cerchiamo di scordare per un attimo il silenzio di CGIL, e non solo il suo, nei momenti in cui molti sistemi 118 regionali hanno finito per andare anche al di fuori della normativa, utilizzando tecnici del soccorso nelle centrali operative per la risposta su linee 118 (attività di esclusiva competenza infermieristica), così come richiamato anche negli ultimi giorni da una lettera del Presidente IPASVI Firenze, Danilo Massai, per il caso di Livorno.
In quei contesti per CGIL era giusto sostituire gli infermieri o semplicemente i fatti non meritavano, a loro giudizio, prese di posizione altrettanto nette che comunque mi pare non ci siano state?
Il problema sta nel fatto che si continui a dare una informazione falsata sulla materia mezzo di soccorso infermieristico.
Si parla, nel virgolettato, del fatto che il “team di intervento immediato”, si presuppone un’automedica, sarebbe quello in grado di dare maggiori risposte al cittadino.
Dipende da quali sono le domande.
Continueremo ad aprire automediche, che hanno costi di diverse centinaia di migliaia di euro annui l’una, per mandare le nostre equipes ALS in primo invio su stati febbrili, polmoniti, riacutizzazioni di BPCO (le prime due che non dovrebbero neppure arrivare al sistema di emergenza e l’ultima facilmente gestibile per il trasporto da un infermiere con una CPAP, anche senza bisogno di diagnosi differenziale) o altre situazioni patologiche non di emergenza, invece di prevedere il fatto che questi mezzi si attivino solo su bisogno accertato in reali emergenze, tramite una rete professionalizzata e ben concepita, abbattendone così drammaticamente il fabbisogno numerico ed i costi?
Si afferma poi di essere convinti che il mezzo infermieristico sia “uno strumento utile ma solo aggiuntivo per alcune tipologie di servizio in quanto ci sono compiti che l’infermiere non può svolgere…”, ecc..
Peccato che proprio la Regione Toscana, nelle linee di indirizzo riguardanti l’implementazione del mezzo infermieristico, scriva:
“Costituisce una tipologia di mezzo di soccorso assimilabile al mezzo medicalizzato.
..omissis..
Dato il livello di autonomia professionale dell’infermiere, questo mezzo di soccorso può fornire un soccorso avanzato nel sostegno delle funzioni vitali (ALS) attraverso l’esecuzione di manovre salvavita e la somministrazione di farmaci in base a protocolli definiti dal Responsabile della C.O. 118.”
Appena sopra chiedevo quali fossero le domande (di assistenza) cui ci si riferiva.
Ovvio che esistono vari livelli di domanda o, se vogliamo, di problematica sanitaria e patologica che possono richiedere diversi livelli di assistenza. La scelta di dividere la risposta territoriale in livelli è ormai assodata da tempo in regione Toscana. E’ bene comunque comprendere che non si tratta, anche guardando all’Europa e al mondo, dell’unica modalità possibile e che anche in regione tale divisione esiste più sulla carta che nella realtà.
Ciò detto, i tre esponenti CGIL si sono forse documentati su quale sia, nei territori in cui il livello infermieristico è stato implementato (essenzialmente Firenze ed Empoli, per l’area vasta in oggetto), il livello di operatività e di risposta di questo livello?
Al di la dei facili discorsi si prendano un momento del loro tempo per valutare, dati alla mano, su quali tipologie di intervento questi mezzi siano chiamati ad operare e con quale outcome sul paziente.
Argomentino meglio, ma anche qui con maggiore cognizione di causa, quali sarebbero i “compiti” che, secondo loro, l’infermiere non potrebbe svolgere sul territorio e, soprattutto, in quanti casi percentuali sul totale della casistica avvenga realmente che il mezzo infermieristico si trovi ad essere sottodimensionato o limitato nella gestione di particolari eventi.
Noi siamo come sempre disposti a discuterne, ma lo si faccia sui dati. Così facendo si potrebbero scoprire molte cose interessanti, che sono chiare ai molti che questo lavoro lo fanno, medici compresi, ma che quasi nessuno ha il coraggio di dire: Il mezzo infermieristico è quello giusto per gestire in autonomia la quasi totalità degli eventi di emergenza urgenza sul territorio dando una risposta rapida, efficace e qualificata ai bisogni dei cittadini.
Questa spinta sul terzo livello, di equipe, che certamente non vogliamo discutere, perché ne riconosciamo il ruolo fondamentale, ma che dovrebbe essere molto più qualificato ed usato in maniera molto differente da come accade adesso, con uno spreco di risorse professionali ed economiche a volte spaventoso, sembra a tratti strumentale. Una specie di cerchiobottismo del nuovo millennio, funzionale a non prendere decisioni strategiche a medio e lungo termine che disegnino un sistema di emergenza territoriale funzionale, sostenibile economicamente e che risponda realmente ai bisogni del cittadino.
Certo, a onore del vero bisogna dire che la modalità di presentazione, nel caso specifico, non è forse stata felicissima. I mezzi infermieristici non devono sostituire il mezzo medicalizzato in una sola ottica di risparmio o di sostituzione di altre professionalità ma essere parte di una rete, dove il livello massimo resti certamente quello di equipe, prevedendo però un numero congruo di mezzi India e un numero ancora più alto di mezzi BLSD.
L’infermiere non fa diagnosi, unica reale differenza con la professionalità medica nello stesso contesto…..contesto in cui però, la diagnosi differenziale sul posto è spesso non richiesta, non sicura e, sovente, non possibile.
Si chiede onestà intellettuale, così fa almeno in un articolo pubblicato su La Nazione il 17 Agosto, il Presidente dell’Ordine dei medici di Pistoia, che porta poi a confronto indiretto, in un parallelo che definirei oltraggioso, la professionalità infermieristica con quella di una cassiera del supermercato o di un titolare di palestra che abbiano fatto un corso di primo soccorso (VEDI).
Davvero allucinante ed evidentemente capziosa la sua affermazione. Mi chiedo se questa sia l’esempio di onestà intellettuale cui egli si voglia riferire.
La giusta strada sarebbe quella di ridisegnare i sistemi in maniera razionale tenendo conto delle possibilità operative delle singole figure professionali, aumentando il numero degli infermieri sul territorio su mezzi India, ridisegnando la mappatura delle automediche (le tanto agognate equipes) e riportando molti medici all’interno dei DEA dove possano essere realmente in grado di fare il loro lavoro, che è essenzialmente quello diagnostico e di impostazione di un percorso di cura, alleggerendo i pronto soccorso dall’attività frenetica che li contraddistingue portando in essi forze nuove.
Si parli allora di diversità di livello assistenziale e si spinga per implementare correttamente i livelli come la Regione, in primis, richiede da anni bloccata da interessi di lobbies che sono tutto tranne che infermieristiche. Questo mi aspetterei, da infermiere e da cittadino, insieme ad una buona dose di onestà intellettuale, finora mancante, da parte di tutti gli attori coinvolti.
Roberto Romano
Consigliere IPASVI Firenze
Referente Area Emergenza Urgenza
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