Riceviamo e pubblichiamo la nota del vice presidente dell’A.A.D.I., dott. >Carlo Pisaniello, sulla sentenza della Cassazione sez. lavoro, 14 giugno 2076, n. 14770
La I sezione Lavoro della Cassazione, con l’ordinanza n. 14770/17 depositata il 14 giugno, ripercorre alcuni principi sui diritti del personale medico e infermieristico ospedaliero soggetti a turni di pronta disponibilità.
Con sentenza in data 17.5.2012 la Corte di Appello di Genova, confermando la pronuncia del Tribunale di Massa, ha respinto le domande proposte nei confronti della Azienda Unità Sanitaria Locale (omissis) dai litisconsorti indicati in epigrafe, “inquadrati in varie categorie previste dalla contrattazione collettiva del comparto sanità o dirigenti medici” i quali, avendo svolto il servizio di pronta disponibilità anche in giorni festivi, avevano chiesto:
- il riconoscimento del diritto a fruire in ogni caso (anche se non chiamati) del riposo compensativo;
- il risarcimento del danno subito per la mancata fruizione del riposo;
- la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario da calcolarsi, in caso di chiamata effettiva alla quale non aveva fatto seguito la concessione del giorno di riposo, su tutte le ore di lavoro prestate dopo la settima giornata sino al giorno di effettivo godimento del riposo settimanale;
Avverso tale sentenza, i litisconsorti sopra indicati hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi, al quale ha opposto difese la Azienda USL (omissis) con tempestivo controricorso.
Il P.G. in data 7 febbraio 2017 ha concluso per l’infondatezza dei primi due motivi di ricorso e per l’accoglimento del terzo.
Ma vediamo nel dettaglio il punto di diritto seguito dalla Suprema Corte;
Con i primi due motivi di ricorso i ricorrenti denunciano, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione di plurime disposizioni di legge e di contratto; art. 1, D.Lgs 8.4.2003 n. 66; artt. 36 e 97 Cost.; artt. 7 del CCNL Integrativo 20.9.2001 per il personale non dirigente del comparto sanità e dell’art. 17 del CCNL 3.11.2005 per l’area della dirigenza medica, nonché della direttiva 2003/88/CE e deducono, in sintesi, “che la reperibilità deve essere equiparata al lavoro effettivo, essendo tale qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia obbligato a rimanere a disposizione del datore di lavoro, per cui al dipendente va in ogni caso concesso il riposo compensativo a prescindere da una sua manifestazione di volontà in tal senso”.
I primi due motivi del gravame, secondo la Suprema Corte, devono ritenersi manifestamente infondati perché la sentenza impugnata, nell’escludere che il servizio di reperibilità “passiva” possa essere equiparato al lavoro effettivo e nell’interpretare le disposizioni contrattuali che vengono in rilievo, si è attenuta al principio di diritto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che, con plurime pronunce, ha escluso l’equiparazione e ha evidenziato che dalla prestazione del servizio non deriva, quale effetto automatico, il diritto del dipendente a fruire del riposo compensativo, rimesso, invece, alla sua scelta discrezionale (Cass. 4.4.2016 n. 6491; Cass. 18.3.2016 n. 5465; Cass. n. 9316/2014; Cass. n. 11730/2013; Cass. n. 4688/2011; Cass. n. 27477/2008; Cass. n. 18812/2008);
Le sentenze nn. 5465 e 6491 del 2016 hanno interpretato le disposizioni contrattuali che qui vengono in rilievo, di contenuto analogo, evidenziando che con riferimento al servizio che non abbia comportato la chiamata del dipendente, le parti collettive (sindacati e ARAN) hanno previsto la concessione di un riposo compensativo “senza riduzione del debito orario settimanale”, ossia, di una giornata di riposo la cui fruizione lascia globalmente immutata l’ordinaria prestazione oraria settimanale e, quindi, impone una variazione in aumento della durata della attività lavorativa da prestare negli altri giorni della settimana.
Pertanto, l’obbligo del datore di lavoro di concedere la giornata di riposo, rimodulando conseguentemente l’orario settimanale, sorge solo qualora il dipendente ne faccia espressa richiesta, la quale trova la sua ratio nella maggiore gravosità della prestazione che in caso di fruizione del riposo compensativo deve essere resa negli altri giorni lavorativi.
I motivi espressi nel ricorso non prospettano argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poiché le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., sono integralmente condivise dal presente Collegio;
Il terzo e quarto motivo di ricorso, formulati ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., addebitano alla sentenza impugnata di avere respinto le diverse domande di maggiorazione del trattamento retributivo e di risarcimento del danno per la mancata fruizione del riposo settimanale derivata dalla chiamata in servizio, sulla base di una errata interpretazione delle disposizioni contrattuali (artt. 7, 39 e 40 del CCNL 20.9.2001 per il personale non dirigente del comparto sanità; art. 34 del CCNL 7.4.1999 per il medesimo comparto; art. 17 del CCNL 3.11.2005 per l’area della dirigenza medico-veterinaria del servizio sanitario nazionale), contrastante con il principio della inderogabilità del riposo settimanale previsto dall’art. 36 cost., dagli artt. 1 e 9 del d.lgs 8.4.2003 n. 66, dagli artt. 2 e 5 della direttiva 2003/88/CE;
Ad avviso dei ricorrenti, ove nel corso del servizio di reperibilità si renda necessaria la prestazione effettiva, la azienda sanitaria non può limitarsi a corrispondere la maggiorazione per il lavoro straordinario prestato nella giornata festiva, ma deve anche garantire il riposo settimanale, che è irrinunciabile e si pone su un piano diverso e distinto da quello della quantificazione del trattamento retributivo previsto dalle parti sindacali per la prestazione resa a seguito della chiamata, nonché dal riposo compensativo che può essere richiesto in luogo (in sostituzione) della prevista maggiorazione.
La questione posta è stata già affrontata da questa Corte con le richiamate decisioni nn. 5465 e 6491 del 2016 con le quali si è esclusa la nullità della disciplina dettata dalle parti collettive (ritenuta, invece, dal Tribunale per violazione della direttiva comunitaria, del D.Lgs n. 66/2003 e dell’art. 36 Cost.), evidenziando che l’art. 7 del CCNL 20.9.2001 e l’art. 17 del CCNL 3.11.2005, nella parte in cui escludono la riduzione del debito orario complessivo, si riferiscono unicamente alla reperibilità passiva.
Le pronunce citate hanno anche sottolineato che la previsione di un compenso maggiorato per l’attività prestata in giorno festivo non incide, neppure indirettamente, sulla disciplina della durata complessiva settimanale dell’attività lavorativa e sul diritto del dipendente alla fruizione del necessario riposo, che dovrà essere garantito dalla azienda, a prescindere da una richiesta, trattandosi di diritto indisponibile, riconosciuto dalla Carta costituzionale oltre che dall’art. 5 della direttiva 2003/88/CE, e che a detto orientamento il Collegio intende dare continuità, perché i CCNL per il personale dirigente e non dirigente del servizio sanitario nazionale (art. 20 CCNL 1.1.1995 per il personale non dirigente e art. 22 CCNL 5.12.1996 per la dirigenza medica e veterinaria) affermano con chiarezza che ” il riposo settimanale non è rinunciabile e non può essere monetizzato”.
Peraltro, il divieto di monetizzazione e di attribuzione di trattamenti retributivi non previsti dalla contrattazione collettiva nonché la disciplina dell’orario di lavoro dettata per il personale dirigenziale e non dirigenziale del servizio sanitario nazionale, escludono che possa essere ritenuto “straordinario” il lavoro prestato nei giorni successivi a quello nel quale doveva essere goduto il riposo settimanale, sicché è corretta la pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto infondata la domanda volta a ottenere, a titolo retributivo, la maggiorazione stipendiale;
La Corte territoriale ha anche escluso il diritto al risarcimento del danno, valorizzando la mancanza di prova in ordine all’esistenza dei pregiudizi lamentati, così provvedendo, si è discostata dal principio di diritto affermato da questa Corte (Cass. 1.12.2016 n. 24563; Cass. 16.8.2015 n. 16665; Cass. 25.10.2013 n. 24180; Cass. S.U. 7.1.2013 n. 142) secondo cui la mancata fruizione del riposo settimanale è fonte di danno non patrimoniale che deve essere presunto perché “l’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento datoriale ha una diretta copertura costituzionale nell’art. 36 Cost., sicché la lesione dell’interesse espone direttamente il datore al risarcimento del danno….”;
La sentenza impugnata, in via conclusiva, nell’escludere il diritto al risarcimento del danno per la mancata fruizione del riposo settimanale nei casi di reperibilità attiva, non ha correttamente interpretato le disposizioni contrattuali rilevanti e si è posta in contrasto con i principi di diritto sopra indicati.
Pertanto la decisione deve essere in parte cassata con rinvio alla Corte di Appello di Genova, in diversa composizione, che procederà a un nuovo esame attenendosi ai principi di diritto richiamati ai punti sopra espressi e provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.
La Suprema Corte accoglieva quindi solo il terzo motivo di ricorso, e cassava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d´appello diversamente composta.
Quindi nei casi in cui si è in pronta disponibilità in una giornata festiva e si è chiamati ad intervenire, spetta di diritto il riposo compensativo senza necessaria richiesta da parte del lavoratore, ma nello stesso momento, debbono essere garantite le ore settimanali contrattualmente previste, nella settimana in cui si prende il riposo compensativo, gravando quindi sul lavoratore l’onere di effettuare tale recupero, ovvero, di compensare le ore dovute, con il recupero delle ore eccedenti derivanti dalla chiamata in pronta disponibilità.
La mancata fruizione del riposo settimanale però, sempre secondo la corte, è fonte di danno non patrimoniale che deve essere presunto perché “l’interesse del lavoratore leso dall’inadempimento datoriale ha una diretta copertura costituzionale nell’art. 36 Cost, sicché la lesione dell’interesse espone direttamente il datore al risarcimento del danno”.
Magra consolazione, perché il danno non patrimoniale va comunque dimostrato in giudizio, mentre sarebbe stato più semplice e meno oneroso, usufruire di un riposo compensativo senza dover per forza effettuare le ore settimanali contrattualmente previste.
Dott. Carlo Pisaniello
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