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Infermieri: “Agitatevi, organizzatevi e studiate per la ricerca di una identità di ruolo”

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La risposta della presidente Mangiacavalli alle dichiarazioni del migep (VEDI), ha messo in risalto una priorità: la chiarezza dei ruoli quando si parla di lavoro multidisciplinare in sanità.

Spesso la collaborazione tra le figure professionali diventa confusione proprio come se in una squadra di calcio il portiere fa l’attaccante e viceversa.

Un allenatore di successo costruisce una squadra vincente a partire dalla fine coordinazione e dalla consapevolezza della interdipendenza dei ruoli in campo.

Allo stato attuale, la professione infermieristica è, invece, assimilabile alla Longobarda, la squadra allenata dal goffo Oronzo Canà (Lino Banfi) con il suo modulo 5-5-5, nel celebre film “L’allenatore nel pallone”. Ma vediamo perché.

Nell’epoca della post-ausiliarietà, il problema più grande per la professione infermieristica è non essere riusciti a dare seguito nella prassi alle evoluzioni normative che già riconoscono l’infermiere come professionista della salute.

Questa indeterminazione giustifica il paradossale dibattito contemporaneo per le competenze avanzate da una parte, per le competenze ausiliarie dall’altra.

Davvero una professione singolare la nostra.

A qualcuno però è utile ricordare che, durante le tappe del nostro percorso di professionalizzazione, il paziente non lo abbiamo mai dimenticato.

A fronte della scarsità cronica di risorse messe a disposizione del SSN, di ridimensionamento del diritto alla salute, “il carrozzone” viene portato avanti proprio grazie alla bontà dei 420.000 infermieri costretti a rispondere a bisogni di assistenza non necessariamente di propria competenza pur di garantire il benessere dell’assistito.

Semmai siamo in debito di riconoscenza poichè tutto il sistema sanitario si è ormai appiattito su questa predisposizione dell’infermiere ad occuparsi di tutto a spese delle sue competenze core.

È bene ogni tanto ricordarselo: lo studio RN4CAST ha svelato quali sono le cure mancate che, per mancanza di tempo, non riusciamo ad erogare al paziente.

Riteniamo prioritario soddisfare i bisogni a più immediato riscontro, sacrificando così il tempo dedicato al lavoro intellettuale di progettualità della presa in carico. Ma non deve funzionare così!

Dobbiamo renderci conto che non stiamo andando nella direzione voluta dal legislatore al momento della stesura del DM 739/94 e della successiva L. 42/99 con la quale si abbandonava definitivamente l’ ausiliarietà.

Evidentemente qualcosa non ha funzionato poiché il mansionario di fatto vive ancora oggi nella prassi.

Forse la professione in quegli anni ha omesso di chiedersi: “come allineare la pratica alle nuove norme?”

Questo non è stato fatto nel ’99 come neanche nel 2000 dopo la L. 251 e nel 2001 dopo l’ accordo stato regioni che ha dato vita all’ oss.

L’oss doveva decongestionare gli infermieri dalle attività igienico-domestico-alberghiere tuttavia non ci si è posti il problema di riorganizzare il lavoro adeguandolo alle nuove norme.

Dunque oggi paghiamo un ritardo di 18 anni.

Siamo maggiorenni!

Siamo fin troppo maturi per realizzare in concreto quello che il legislatore ha ideato per noi.

Gli strumenti ce li abbiamo ma per portali avanti abbiamo bisogno di costruire una solida coscienza di categoria in grado di renderci consapevoli dell’ esigenza di attribuire definitivamente al personale di supporto quelle attività prettamente manuali considerate assistenza generale non qualificata di natura intellettuale qual è l’assistenza infermieristica erogabile esclusivamente dal professionista infermiere.

Questa evoluzione culturale non comporta l’allontanamento dal paziente
ma al contrario garantisce il diritto alla salute del cittadino tramite una figura professionale capace di prendersi carico a 360° dei (mutati e complessi) bisogni della persona.

Prendersi carico dell’assistito non equivale alla somma delle varie attività manuali sull’assistito, altresì è una attività intellettuale che riconosce nella pianificazione assistenziale lo strumento principale d’ azione.

Fin quando impiegheremo il nostro tempo a rifare letti, cambiare pannoloni o dispensare pasti non ne resterà altro per coltivare la relazione col paziente, per la rilevazione dei suoi bisogni educativi, per lo sviluppo e l’aggiornamento dei piani d’assistenza (VEDI).

Ormai sono disponibili le evidenze scientifiche che ci dicono quanto negativamente impatta questa tendenza sugli esiti sensibili alle cure infermieristiche.

Ce lo ripetiamo in maniera autoreferenziale durante i congressi ma il vero problema è che la cultura professionale sembra risiedere in un élite, appannaggio di pochi, lontana
dalla base.

Il mese scorso, durante il congresso svolto a Torino sul MAP, la vicepresidente Schirru sostiene il coraggio nel dire di NO (VEDI).

Ma come si fa a dire di NO se si è in netta minoranza e si finisce per essere considerati come schegge impazzite della professione?

Allora è o non è una questione culturale?

Ancora: l’ art. 49 dell’ codice deontologico attualmente in vigore sostiene i professionisti a dire NO?

Dunque cosa fare?

Antonio Gramsci diceva:

Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo

Siamo un gigante dormiente perciò alziamoci e confrontiamoci, parliamo, mettiamo in discussione il paradigma del “si è sempre fatto così”.

Al nostro organo di rappresentanza (a breve, ci auspichiamo, ordine) mi sento di dire che è necessario avvicinarsi alla base professionale per trasferirne quella cultura indispensabile per valorizzare nella prassi le potenzialità dell’ infermiere di oggi.

“Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza”: interessatevi direttamente delle politiche della professione infermieristica non demandiamo al collegio perché il collegio siamo NOI!

Create interlocutori, avvicinatevi al sindacato. Ripensare il sindacato che oggi deve non solo difendere i diritti, sempre più spesso calpestati, ma trattare i problemi del lavoro in maniera più sistemica a partire dai parametri per la determinazione della dotazione organica dei servizi.

Il rapporto ideale infermiere – paziente è uguale a 1:6.

Se aumenta questo rapporto aumenta il rischio di mortalità e di cure mancate: è evidenza scientifica nello studio RN4CAST (VEDI).

Anche il sindacato deve portare avanti la sua battaglia culturale in funzione della riorganizzazione del lavoro in sanità spalancando le porte alle evidenze scientifiche dei giorni nostri per mandare definitivamente in pensione il minutaggio assistenziale del passato.

“Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”: la professione andrebbe come fermata per recuperare, rileggere e ricontestualizzare i fondamenti normativi del nostro campo di attività e responsabilità.

Definiamo univocamente il concetto di assistenza infermieristica alla luce dei nuovi bisogni di salute della popolazione e dei nuovi bisogni organizzativi di un SSN da riformare, per creare un substrato ideale entro cui piantare il seme della cultura in grado di affermare un’ identità di ruolo non indefinita ma finalmente inequivocabile.

Raffaele Varvara

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