Infermiere aggredito da un paziente mentre lavora: l’azienda ospedaliera paga il danno biologico per le lesioni subite
Con la sentenza n. 14566/17 emessa dalla Cassazione in data 12 giugno u.s. si sancisce l’obbligo per il datore di lavoro nella prevenzione e riduzione dei rischi connessi all’ambiente lavorativo.
Non può essere negato il ristoro solo perché le mansioni prevedono il contatto fisico con l’utenza.
Sono numerosi i casi di aggressione ai danni degli operatori sanitari con conseguenze anche drammatiche anche in termini di danni subìti che sono troppo spesso sopportate dai soli lavoratori.
Proprio in questi giorni, precisamente il 7 giugno u.s., il caso dell’aggressione all’equipaggio del 118 a Bari, prima verbale poi fisica, con l’infermiera presa letteralmente a schiaffi; colpi violentissimi che l’hanno costretta alle cure dei sanitari, che l’hanno giudicata guaribile in una settimana (VEDI).
Questa sentenza che Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, ritiene meritevole di diffusione – ha espresso il principio secondo cui è l’azienda ospedaliera a risarcire il danno biologico al proprio dipendente che durante lo svolgimento delle sue mansioni viene aggredito da un paziente.
Per la sezione lavoro della Suprema Corte, l’azienda ha lo specifico obbligo di prevenire situazioni del genere, adottando non solo le misure previste dalla legge, ma anche le misure richieste dalla specificità dei rischi connessi tanto all’uso di macchinari quanto all’ambiente di lavoro.
Nella fattispecie, un infermiere aveva proposto ricorso avverso una sentenza della Corte di Appello di Palermo che gli aveva negato il risarcimento a seguito delle lesioni subite in conseguenza di un’aggressione in ospedale da parte di un paziente.
Secondo i giudici di secondo grado, per il datore era pressoché inattuabile la predisposizione di mezzi di tutela per ridurre il rischio di aggressioni al personale, in ragione del fatto che lo stesso lavoro di infermiere, specie di Pronto Soccorso, implica necessariamente il contatto fisico col paziente e non consente di frapporre fra il lavoratore e l’utenza delle barriere; né il primo aveva dedotto misure concretamente idonee ad impedire l’evento tenuto conto che lo stesso si verificava, peraltro, nel tragitto di trasporto in barella dalla sala visite dopo dieci minuti dalla registrazione.
Quindi, sull’episodio, non avrebbe inciso l’assenza di un carabiniere preso il posto fisso o della vigilanza privata.
I giudici di legittimità, tuttavia, decidono di ribaltare la decisione della Corte Territoriale, ritenendo la richiesta di risarcimento fondata in quanto non spetta al lavoratore l’onere di provare l’inadempimento del datore.
I giudici di piazza Cavour ricordano, infatti, che “l’obbligo di prevenzione di cui all’articolo 2087 Cc impone all’imprenditore di adottare non soltanto le misure tassativamente prescritte dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, che rappresentano lo standard minimale fissato dal legislatore per la tutela della sicurezza del lavoratore, ma anche le altre misure richieste in concreto dalla specificità dei rischi connessi tanto all’impiego di attrezzi e macchinari, quanto all’ambiente di lavoro”.
La parola, dunque, passa nuovamente alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione.
Giuseppe Papagni
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