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Licenziato il Direttore dell’U.O. furbetto del cartellino che ruba all’Asl il tempo per fare attività “intra moenia”

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Aadi: Il mero svolgimento di attività di coordinamento non può automaticamente dare diritto alle relative indennità
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Licenziato il primario della Asl “furbetto del cartellino” autorizzato dall’azienda ad effettuare attività intra moenia, ma che la svolge in orario di servizio sottraendo così tempo alla struttura pubblica che dirige.

E ciò perché anche prima della riforma Madia è legittimo il recesso dell’amministrazione contro il dipendente pubblico che si allontana dal posto senza timbrare il cartellino marcatempo in modo da risultare regolarmente in servizio.

Il dirigente medico che pure in primo grado aveva ottenuto la declaratoria di illegittimità del licenziamento, in Appello, si vede la sentenza completamente ribaltata e diventa così definitivo il provvedimento espulsivo inflittogli.

Il dirigente in questione era stato autorizzato dalla ASL di cui era dipendente ad espletare attività libero – professionale intramuraria in determinate fasce di orario, per complessive 6,30 ore settimanali.

L’azienda dopo aver effettuato dei controlli, gli contesta di aver svolto tale attività sovrapponendola all’orario di servizio, nonché il mancato rispetto dell’orario precedentemente stabilito.

Per questo la ASL sottopone il dirigente medico a procedura disciplinare intimandogli il licenziamento per aver falsamente attestato la sua presenza in servizio quando in realtà stava facendo attività intra moenia.

La corte territoriale ha ritenuto non modificato il principio di immodificabilità della contestazione, poiché i fatti non erano stati modificati nella loro materialità perché la modifica aveva riguardato solo la qualificazione giuridica e l’indicazione delle norme rispetto alle quali si era verificato l’inadempimento contrattuale.

Ha ritenuto integrata la fattispecie di cui all’art. 55, quater, lett. a) del D.Lgs. 165/2001 – “1-bis. Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalita’ fraudolenta posta in essere, anche  avvalendosi  di  terzi,  per  far risultare  il  dipendente   in   servizio   o   trarre   in   inganno l’amministrazione presso la  quale  il  dipendente  presta  attività’ lavorativa circa il rispetto  dell’orario  di  lavoro  dello  stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con  la  propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta”. – nel caso in cui il dipendente si allontani dal luogo di lavoro senza procedere alla timbratura del badge.

Ha inoltre evidenziato che la condotta del dipendente non poteva essere scriminata dall’invio alla ASL della documentazione attestante la prenotazione delle visite da effettuare in regime di attività intramuraria, posto che tale invio aveva rilevanza solo ai fini amm.vi e non incideva sui controlli effettuati dall’ufficio personale in merito alle presenze dei dipendenti.

La corte territoriale infatti ha ritenuto che il comportamento del primario fosse tale da ledere il vincolo fiduciario in quanto lo stesso si era sistematicamente allontanato dal servizio in orari diversi da quelli indicati in autorizzazione.

Il primario ricorre in cassazione, la quale esprime i seguenti motivi di decisione.

Nel caso di specie risulta infondato il motivo del ricorso nella parte in cui si eccepisce la nullità della sentenza perché il giudice di Appello ha dato ampio conto delle ragioni per le quali la condotta addebitata al primario valutata nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi, doveva essere ritenuta di gravità tale da giustificare il licenziamento per giusta causa.

Prosegue la Corte, nel procedimento disciplinare la contestazione non obbedisce ai rigidi canoni che presiedono alla formazione dell’accusa nel processo penale, né si ispira ad uno schema precostituito o a una regola assoluta e astratta, ma si modella in relazione al principio di correttezza che è già insito nel rapporto interpersonale tra le parti, e che è finalizzata alla esclusiva soddisfazione dell’interesse dell’incolpato ad esercitare pienamente il suo diritto di difesa.

La diversa qualificazione giuridica del fatto addebitato non ha interferito con il principio dell’immutabilità della contestazione, giacché il diritto di difesa è leso solo qualora, se a fondamento dell’atto di recesso, vengono poste circostanze diverse da quelle addebitate in ragioni delle quali il lavoratore non sia stato in grado di rappresentare la propria posizione difensiva.

La posizione del giudice del merito deve riguardare non tanto alla formazione letterale dei due atti posti a confronto; quanto agli aspetti sostanziali della condotta del ricorrente e deve considerare che una circostanza può essere ritenuta nuova in quanto la stessa esuli dall’originario atto di incolpazione.

E ciò non si verifica quando il fatto in relazione al quale il licenziamento intimato può essere ricompreso nella contestazione della quale, costituisce specificazione effettuata all’esito del procedimento disciplinare.

Il ricorso che vuole sostenere la violazione del principio di immodificabilità della contestazione fa leva solo sul tenore letterale dei due atti, mentre la corte territoriale ha correttamente valorizzato la contestazione rilevando che, all’esito della procedura, la ASL aveva correttamente individuato l’ipotesi normativa da applicare alla fattispecie senza aver violato in alcun modo il diritto di difesa.

Del tutto correttamente quindi la corte territoriale ha ritenuto che nella circostanza dedotta in giudizio ricorresse l’ipotesi di falsa attestazione della presenza in servizio con modalità fraudolente essendo incontestabile che l’odierno ricorrente pur risultando continuamente in servizio, di fatto, si allontanava negli orari di vista presso la struttura convenzionata, senza procedere alla timbratura del badge, attestando così falsamente la propria presenza in servizio.

Rigetta quindi il ricorso e condanna alle spese la parte soccombente.

 

Carlo Pisaniello

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