“Se mi accadesse quello che sta accadendo a ******, tu sai vero quel che vorrei per me?”
Chi di noi infermieri non ha mai affrontato con un collega il tema drammatico del fine vita?
Non del fine vita altrui, in quello siamo bravissimi, ma del fine vita nostro.
Perchè, diciamolo, che se da una parte siamo tutti coesi nel promuovere dei modelli di salute e dei protocolli terapeutici validati, dall’altra parte siamo anche molto consapevoli del limite degli stessi, dell’eticità che ognuno di noi percepisce o vive come un contraddittorio continuo tra la scienza e la personale coscienza.
Molti di noi questa domanda se la pongono e forse parecchi hanno già la soluzione in tasca.
Eppure ogni santo giorno infondiamo terapie che riconosciamo al volo come eccessive, inutili, pericolose… ogni santo giorno vediamo persone incapaci di difendersi da quei protocolli che sono perfetti per la malattia ma imperfetti per la vita.
Ma se accadesse a noi diremmo NO.
E allora forse varrebbe la pena di fare uno sforzo e di essere infermieri anche nel rispetto delle scelte non dette, dei gesti muti, delle parole che non trovano voce.
Ed essere accanto al paziente con le terapie ma anche con l’ascolto, la condivisione, e magari un progetto assistenziale che lo accompagni esattamente dove vorremmo essere accompagnati anche noi.
Magari in riva al mare con un gatto accoccolato sul grembo.
Laura Binello
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