Simone Michitti, infermiere marchigiano di 34 anni, racconta a Nurse Times la sua esperienza nel Paese scandinavo, dove vive e lavora dal marzo del 2023 con la sua compagna Paola.
Certo, abituarsi alle temperature rigide e al buio pressoché costante dei mesi invernali non è facile, ma le soddisfazioni professionali ripagano – in tutti i sensi – degli inconvenienti legati al clima. Negli ultimi anni la Norvegia è diventata uno degli approdi preferiti dagli infermieri italiani che scelgono di andare all’estero. Tra loro c’è Simone Michitti, 34 anni, originario di Civitanova Marche (Macerata), che nel Paese scandinavo vive e lavora da poco più di due anni.
La laurea in Infermieristica conseguita nel 2017 all’Università Politecnica delle Marche, quindi tre anni di servizio (“molto belli”) in una comunità di recupero minorile del territorio, seguiti dal trasferimento a Bologna. Nel capoluogo emiliano Simone fa dapprima esperienza in una Rsa. Esperienza tutt’altro che facile (“Di notte eravamo solo io e un oss a gestire 78 anziani su quattro piani”), e conseguente decisione di cambiare aria.
La città resta Bologna, ma il luogo di lavoro diventa la clinica privata Villa Erbosa – Gruppo San Donato, dove il giovane infermiere arriva in pieno periodo Covid e conosce Paola, collega e tuttora sua compagna di vita. Nel frattempo partecipa ai concorsi indetti dall’Istituto Ortopedico Rizzoli e dal Policlinico Sant’Orsola, provando inoltre a lavorare per una cooperativa che fornisce servizi ambulatoriali in tutta la provincia (“esperienza negativa”).
A luglio 2022 ecco l’assunzione a tempo indeterminato. Lo chiama il Rizzoli, e l’infermiere marchigiano ovviamente risponde, ma lì rimane solo quattro mesi (“da settembre 2022 a gennaio 2023”). Lui e Paola, infatti, avevano già deciso di provare un’esperienza lontano dall’Italia. La loro scelta cade sulla Norvegia. Giusto il tempo di imparare le basi della nuova lingua attraverso un corso online, poi la partenza, nel marzo del 2023.
Da noi contattato, Simone, che abita nella città di Bodø, appena a nord del Circolo polare artico, racconta: “Qui lavoro per un Kommune, ente che fornisce servizi sanitari a domicilio e nelle case di riposo, ma anche negli ospedali. Nel primo caso si tratta di assistenza ‘basica’, comprendente anche l’igiene del paziente, sebbene non manchino compiti più complessi, come le medicazioni. Nel secondo caso, invece, le mansioni sono prettamente infermieristiche. Per cominciare, però, il livello domiciliare è senza dubbio la cosa migliore”.
Ed è proprio di assistenza domiciliare, infatti, che lui si occupa ancora oggi: “Sì, perché in questo settore il carico lavorativo è facilmente gestibile. Non esistono turni assurdi e conseguente stress. Non ci si porta il lavoro a casa e, grazie agli orari flessibili, il tempo libero non manca. Certo, alcune giornate sono più impegnative di altre, ma comunque sono previste due pause obbligatorie da mezz’ora per ogni turno”.
Detta così, sembra quasi una pacchia. Simone, tuttavia, ci tiene a chiarire che in Norvegia non c’è posto per i lavativi: “Qui adottano una politica moto rigida in tema di immigrazione. Le porte sono aperte a tutti, ma bisogna inserirsi nel tessuto sociale ed essere membri attivi della comunità. Altrimenti ti rispediscono indietro”.
I principali pregi della sanità norvegese? “Be’, è una sanità che funziona, anche perché la Norvegia investe circa il triplo dell’Italia in questo settore. Un grande pregio sta nella garanzia di lavorare all’interno di equipe multidisciplinari, dove ognuno svolge un compito preciso, senza sovrapposizioni. E non dimentichiamo il rapporto infermiere/pazienti, che non ha nulla a che vedere con i numeri assurdi dell’Italia. Qui un infermiere deve occuparsi, al massimo, di quattro-cinque pazienti”.
E le opportunità di carriera? “Intanto sono uguali per tutti: non importa che tu sia norvegese o straniero. La progressione dal livello base a ai livelli successivi avviene in maniera piuttosto naturale. Se dimostri di essere un elemento valido, possono affidarti un tirocinante da formare. Studiando, puoi specializzarti in varie branche, ma a tal fine valgono anche i titoli conseguiti nel tuo Paese di origine. I titoli italiani, per esempio, godono di un ampio riconoscimento”.
Dulcis in fundo, il capitolo stipendi: “All’inizio, lavorando per un Kommune, si guadagnano circa 40mila euro lordi all’anno. Con la massima anzianità di servizio, che è di 16 anni e comprende anche il periodo antecedente all’arrivo in Norvegia, si arriva a guadagnare sui 56mila euro lordi all’anno. Il bello è che il conteggio parte dal compimento dei 18 anni, anche se a quell’età ancora non lavori. Io, per esempio, a soli 34 anni ho già maturato la massima anzianità. Ma non basta. Allo stipendio viene aggiunto un compenso integrativo pari al 12 percento del lordo annuo. E poi a novembre o dicembre si paga la metà delle tasse”.
Questa sì che è una pacchia! E per chi, come Simone, sceglie di affidarsi a un’agenzia interinale i vantaggi sono ancora più sostanziosi: “In questo caso lo stipendio può raggiungere i 68mila euro lordi all’anno, più il 12 percento di cui parlavo prima. Come se non bastasse, poi, l’agenzia provvede pure a pagare l’affitto della casa e le bollette”.
Il motivo di tanta “generosità”? Simone spiega che in Norvegia ragionano diversamente: “Al contrario di chi ha un posto a tempo indeterminato, chi lavora tramite agenzia interinale non ha garanzie di stabilità, e quindi guadagna di più. Al momento io ho un contratto di sette mesi, che scadrà a settembre. Dopodiché mi prenderò quattro mesi di vacanza, parte dei quali da trascorrere in Italia con la mia famiglia”.
Ma di rientro definitivo non se ne parla: “Dal punto di vista lavorativo, in Norvegia sto troppo bene. Mai avrei pensato, da infermiere, di condurre una vita così agiata. In Italia tornare solo per dedicarmi ad altro”.
Redazione Nurse Times
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