Daniele Dagostino, giovane collega laureatosi in infermieristica (relatore dott. Leonardo DI LEO) propone ai nostri lettori l’abstract della sua tesi sul nursing transculturale elaborata con Emergency presso il “ghetto” di Rignano Garganico a Foggia. I nostri più fervidi complimenti per l’ottimo lavoro realizzato da Daniele, che ha il merito di riportarci una realtà molto poco conosciuta. Prima però una piccola premessa per descrivere in breve cosa rappresenta il “ghetto” di Rignano Garganico.
Il “Ghetto” composto da una decina di vecchie masserie in muratura e costruzioni improvvisate in lamiera, cartone e assi di legno, sparse nel mezzo della campagna di Rignano Scalo, ai piedi del Gargano: uno dei luoghi che l’ambulatorio mobile di Emergency visita periodicamente nell’area di Capitanata, nei dintorni di Foggia.
Nell’ambulatorio ritornano pazienti già visitati, ai quali era stata prescritta una terapia, altri vanno per farsi prescrivere una visita. I migranti che hanno già ricevuto gli esiti degli esami svolti presso le strutture della Asl di Foggia si rivolgono ai sanitari di Emergency per farsi aiutare ad interpretarli: è una buona cosa poter verificare lo sviluppo delle condizioni di salute dei pazienti visitati in precedenza. Il solo fatto che tornino significa che siamo riusciti a guadagnare la loro fiducia: sanno di poter contare sulla presenza dell’ambulatorio mobile di Emergency nella zona. Il passaparola fa il resto.
L’UOMO MATRIOSKA: APPROCCI TRANSCULTURALI A CONFRONTO
Ho i polpacci bianchi. Il motivo che mi ha spinto a trattare il transculturale si riassume così. Mica per ridere, sul serio. Ho i polpacci bianchi, e a Barletta sei tagliato fuori se hai i polpacci bianchi. Perché da noi una carnagione abbronzata è un istituzione, uno status, la conferma che sei sano, socialmente accettabile. Quando questa estate, bermuda e scarpe da runner, macinavo chilometri sulla litoranea, dovevo sorbirmi sguardi di disprezzo, alle volte anche di compatimento. Un pomeriggio due tizi correndo borbottarono fra loro: “guarda quello, sarà mica un turista tedesco?”. Si è sempre lo straniero di qualcuno, sostiene argutamente il poeta marocchino Tahar Ben Jelloun.
L’uomo matrioska rappresenta non solo la dicotomia che si cela fra una razza e l’altra ma anche fra coloro che condividono semplicemente lo stesso pianerottolo. Ma non finisce qua, l’uomo matrioska rappresenta la dicotomia che si cela all’interno dell’individuo stesso! Se si vuole entrare in profondità nel concetto di transculturalità bisogna fare leva su questa percezione. Vi è dunque una nuova prospettiva, dove al centro non c’è la cultura, nell’accezione aleatoria del termine, ma i singoli protagonisti dello scenario assistenziale.
In questa commedia umana entrambi gli attori mettono in scena la propria vita e possono così decidere di travalicare il proprio ruolo per incontrarsi su un nuovo palcoscenico. Allora questa tesi non rappresenterà solo una carrellata di esperienze e tecniche di nursing applicate al paziente straniero ma diverrà un vero e proprio strumento di autoanalisi.
L’ Italia è un Paese in continuo cambiamento, negli ultimi anni si è trasformato da Paese migrante a Paese di immigrati. Da un’analisi epidemiologica emerge che lo stato di benessere sebbene sia sempre relativo ad ogni individuo, risulterebbe correlata alla motivazione che spinge a ricercare il meglio per sé. Il miraggio di un futuro migliore fa diminuire i disagi culturali e spinge milioni di individui a viaggiare. I lavori assegnati ai migranti tuttavia sono, il più delle volte, legati a mansioni fisicamente logoranti. Queste difficoltà vanno inoltre a sommarsi con quelle linguistiche. Non trovando ciò che si aspettavano, dopo circa tre mesi dall’arrivo nel paese straniero, è stato stimato che gli immigrati tendano a sviluppare disagi psicofisici, quindi ad ammalarsi. Consapevoli di questo i teorici del nursing transculturale hanno saputo coniugare i pilastri dell’educazione professionale con gli aspetti antropologici: sottolineando come ciascuno è portatore di differenze, frutto di un bagaglio personale e professionale. Nel momento in cui un infermiere incontra l’alterità, saranno non solo due modi di fare ad entrare in comunicazione, ma due mondi con origini diverse a reinterpretarsi. Ma chi è l’altro? L’altro è il vicino di casa, il collega, l’amico o un immigrato.
L’art. 32 della Costituzione garantisce il diritto alla salute non ai cittadini ma bensì agli individui! Questo articolo diventa un faro per ciascuno di noi. Gli articoli 4 e 21 del Codice Deontologico, seguendo la rotta dell’articolo 32, ricordano all’infermiere quanto sia fondamentale il rispetto alla persona, ai suoi valori etici, morali, religiosi e culturali. Lo scopo di questa tesi è verificare quanta aderenza vi è da parti dei nostri infermieri a questi principi. I capitoli del mio elaborato fanno largo uso di esempi e tecniche. Al lettore non vengono forniti solo strumenti critici ma anche operativi. Scartabellando il materiale ho effettuato una ricerca forsennata di situazioni concrete. Ciò, si spera, darà modo di comprendere l’argomento attraverso il filtro dell’immedesimazione. Il lavoro sperimentale si è espletato in tre diversi scenari che ha visto il coinvolgimento attivo di coloro che prestano servizio presso: l’ambulatorio mobile di Emergency nel “ghetto” di Rignano Garganico, in provincia di Foggia, il CARA di Bari Palese ed il CIE, sempre a Bari Palese. Decisivo ai fini della ricerca è stato il contributo anche di associazioni quali la Caritas cittadina di Barletta, Pax Christi e la cooperativa Auxilium.
Per vedere il video su YouTube clicca qui
Il capitale umano oggetto dello studio front-line è stato di 15 unità, ossia:
Interviste classificate per domande – 6 infermieri (3 di Emergency, 2 del CARA di Bari, 1 del CIE di Bari);
Interviste classificate per domande – 2 mediatori culturali Emergency;
Interviste classificate per domande – 7 stranieri (4 “irregolari” e 3 “regolari”).
Le interviste vengono fedelmente e integralmente riportate dopo un lungo e laborioso lavoro di trascrizione degli audio registrati. Le parti più pregnanti sono state da me montate in un video nella quale il tono della voce, le pause, i tentennamenti tipici dell’esposizione parlata rendono più di ogni altro dato.
Parallelamente c’è stata una distribuzione in regime face-to-face di un questionario composto da 10 domande e somministrato a personale infermieristico dell’Asl Bat. I reclutati, che lavorano presso gli ospedali di Barletta, Trani, Andria e Bisceglie, questa volta erano 102 unità. Il questionario (validato da uno studio effettuato dall’Ipasvi di Roma) nella sua configurazione ha consentito uno studio di tipo univariato e bivariato, orientando verso una ricerca sia di carattere conoscitivo, ovvero di soddisfacimento/coinvolgimento in tema degli intervistati. Il questionario e l’intervista fatta mi hanno permesso di tracciare una mappatura che tiene conto non solo dell’impatto del contenuto trattato, ma anche del servizio che potenzialmente sarebbe possibile offrire.
I diversi indicatori conoscitivi utilizzati per comprendere gli aspetti del servizio a 360° mi hanno permesso di comprendere quanto la ricerca di associazioni tra variabili potesse spingere ad una riflessione tangibile sia sulla necessità di un reale perfezionamento professionale, sia sulla garanzia alla qualità del trattamento del migrante, in termini di eccellenza e appropriatezza. Se analizziamo in maniera puntuale i dati ricavati dalla traduzione dei dati della ricerca notiamo immediatamente che oltre il 55% degli intervistati non si è mai formato e addirittura non si è mai posto il problema su quelli che sono le problematiche reali e potenziali dei migranti.
Il lavoro di ricerca effettuato negli scenari tra Foggia e Bari evidenzia l’approccio empatico con la quale gli infermieri vivono i problemi dei migranti. Infermieri che ogni giorno sono chiamati a rivalutare se stessi e a confrontarsi con l’alterità, che hanno interiorizzato straordinariamente l’essenza del nursing transculturale. Quello degli infermieri in corsia è invece un mondo complesso, molto sfaccettato. Sarebbe scorretto, oltre che ingiusto, sottovalutare la moltitudine di fattori che incidono quotidianamente sulla qualità del loro operato. Va sottolineato tuttavia che c’è anche una considerevole fetta di loro (seppur, non ancora maggioranza) che si informa, partecipa, esprime idee e investe il proprio tempo per formarsi al transculturale. Con questi elementi l’infermiere diventa: l’infermiere del saper fare (nel suo significato più aristotelico) capace, cioè, di considerazione etica e sociale, in grado di progettare una assistenza culturalmente competente.
Lascia un commento