Se si digita la parola ”amianto” su uno dei motori di ricerca più utilizzati al mondo come Google appare inevitabilmente impressionante l’effetto domino prodotto dal suo vastissimo uso fino agli anni ’80 per l’edificazione di strutture edili, per la costruzione di tubature, per l’industria navalmeccanica, per l’attività portuale che non solo si è manifestato con latenza ma che ha soprattutto fatto emergere sempre più frequenti casi di una neoplasia primitiva della pleura che allo stato attuale è considerato senza dubbio un problema di salute nei paesi industrializzati per l’aumento dei tassi di incidenza e mortalità i quali, secondo le previsioni, continueranno ad aumentare nei prossimi anni: il mesotelioma pleurico maligno.
Esso si connota come un raro ma fatale tumore di origine mesoteliale con un periodo di latenza che può raggiungere e superare i 20-40 anni dall’inizio dell’esposizione all’amianto: questo ”killer silenzioso” è stato adoperato in discreta misura per secoli e solo verso la metà del secolo scorso la comunità scientifica internazionale ha confermato e chiarito gli effetti cancerogeni dell’amianto.
L’incorruttibile absesto, come ci ricorda la sua etimologia greca, non è essenzialmente decomponibile, persiste nell’ambiente e se permea nell’organismo viene parzialmente tenuto nei tessuti, le sue fibre tendono a sfaldarsi e, se inalate, penetrano in profondità fino a raggiungere i polmoni, sebbene il percorso di traslocazione alle pleure sia ancora sconosciuto (secondo l’ipotesi più accreditata si ritiene che possano migrare attraverso cellule epiteliali alveolari danneggiate); anche i meccanismi cancerogeni dell’amianto non sono al momento del tutto noti, ma si attribuisce ad esso una reazione infiammatoria cronica.
La gestione articolata di una patologia come il mesotelioma nell’ottenere una diagnosi precoce risulta piuttosto complessa tant’è che la diagnosi avviene generalmente nelle fasi avanzate della patologia; inoltre, in quanto patologia rara, non sono definiti screening per la diagnosi precoce nei soggetti non a rischio e i sintomi del mesotelioma sono inizialmente poco specifici, che vanno dal dolore toracico al respiro corto fino alla dispnea, e spesso vengono ignorati o interpretati come segni di altre malattie più comuni e meno gravi: tale peculiarità rende difficoltosa la strada ad una diagnosi tempestiva che si conferma soltanto in fase avanzata, quando cioè il trattamento si focalizza sulla terapia palliativa per controllare l’ascite, il dolore e migliorare la qualità della vita del paziente.
Anche questa patologia cronico-degenerativa vede il personale infermieristico, con un ruolo da protagonista indiscusso, fronteggiare problematiche che richiedono numerose competenze specialistiche nella gestione dell’accertamento, nella pianificazione e nella valutazione di un paziente spesso critico e non collaborante: gli obiettivi dell’assistenza sono mirati al supporto psicologico del paziente e dei familiari provati da una condizione di stress e di ansia correlati ai sintomi e alla prognosi della malattia, alla messa in atto di strategie di coping e al miglioramento della qualità di vita nelle diverse fasi della malattia, alla preparazione del paziente all’intervento radicale – pleuropneumonectomia extrapleurica – o palliativo – pleurectomia -, fino alla gestione infermieristica degli effetti collaterali legati alla chemioterapia.
Pertanto tutto ciò mira ad accompagnare il paziente lungo il suo percorso terapeutico garantendo i migliori trattamenti possibili nonchè una buona tollerabilità con la costante personalizzazione dell’intervento terapeutico.
L’abolizione della produzione e della lavorazione dell’amianto è avvenuta soltanto nel 1992 con la legge n.257, occupandosi anche dei lavoratori esposti all’amianto: questi ultimi, infatti, hanno diritto a ricevere cure sanitarie totalmente a carico del sistema sanitario nazionale così come gli individui che sviluppano un mesotelioma pleurico in seguito ad esposizione all’amianto non per ragioni di lavoro hanno la possibilità di richiedere un risarcimento civile nei confronti dei responsabili, soprattutto qualora si sospetti che la malattia derivi dall’esposizione nel luogo in cui si vive: ciò dimostra che il legislatore sia stato molto attento nell’ottemperare ad una situazione grave e ancora piuttosto diffusa che rende l’Italia ancora colpita dall’utilizzo di questo materiale (secondo l’Inail, infatti, si stimano in 20-30 milioni di tonnellate circa i materiali ancora presenti sul territorio nazionale). Occorre garantire supporto, occorre bonificare, occorre investire: solo così le nostre aziende sanitarie insieme ai professionisti multidisciplinari potranno dare completamente il loro contributo per ridurre e limitare il rischio di insorgenza di questa patologia tumorale.
Anna Arnone
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