Il 1 ottobre presso l’aula magna ”Gaetano Salvatore” dell’Università degli Studi di Napoli Federico II si è tenuto un workshop senza precedenti con la straordinaria presenza della teorica dello human caring, Jean Watson
Ad aprire l’evento la Presidente della Federazione Nazionale dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche, dottoressa Barbara Mangiacavalli:
”Questa è una giornata di confronto su una tematica particolarmente rilevante per gli infermieri italiani. C’è un aspetto della nostra professione che negli anni abbiamo lasciato sullo sfondo, presi dall’innamoramento per la tecnologia e la tecnica che ci devono essere fin quando sono funzionali all’assistenza infermieristica. Rischiamo di diventare una professione anaffettiva e riscoprire la ricchezza di una relazione assistenziale diventa uno dei punti fondamentali che ci fa diventare agenti morali del nostro assistito prendendo in carico la sua globalità. Ridurre la frammentazione è un passo importante e la presenza della professoressa Watson è un momento strategico per pensare agli aspetti relazionali: il caring è il nostro futuro se supportato dalla tecnica che ci aiuterà a valorizzare il nostro lavoro”.
La Presidente della Federazione Nazionale dell’Ordine delle Professioni Ostetriche ha espresso ringraziamenti alla FNOPI: ”Incontrare una professionista come la Watson che ha una radice comune con la figura dell’ostetrica diventa uno snodo fondamentale nella vita delle donne. Gli uomini al posto giusto sanno fare le cose giuste”.
Durante il convegno le riflessioni sono state poste sulla qualità e sulla consapevolezza della comunicazione strettamente legata al grado di aderenza terapeutica del paziente che lo protegge nella sua unicità.
L’intervento della professoressa Watson è stato lungimirante e mai così attuale: ”Ci troviamo in un momento storico che può essere considerato eterno, in un’era di grande sviluppo. Abbiamo pazienti e infermieri che vengono trattati come prodotti. Il caring va ricercato e centrato nel nostro cuore. Ciò che ci preme fare è instaurare un’alleanza con l’umanità e non è soltanto una prassi ospedaliera ma un obbligo morale ed etico.
Oggi possiamo finalmente definirci disciplina a sè stante perchè ci sono occorsi 100 anni per diventare una professione non solo complementare alla scienza medica ma affidabile e con un valore aggiunto: l’human caring è essenziale per la sopravvivenza e ciò che dobbiamo sviluppare è un nuovo rinascimento in quanto bisogna criticare le strutture esistenti per ristabilirne altre sulla base delle esigenze personali cominciando dal sè. E’ un’impresa seria, epistemica, filosofica ed etica: appartenere l’uno all’altro ci invita ai valori forti, fondanti, con un sapere che va continuamente sviluppato e con una prassi influenzata dalle evidenze scientifiche perchè parte della maturazione del caring è influenzata dalle interconnessioni tra tutti noi.
Una visione del mondo relazionale è il punto di partenza che ci pone in contatto con gli altri esseri umani del nostro pianeta. In uno dei miei libri ”La scienza del caring come scienza segreta” ho trattato la forza vitale di una persona, del mistero, del sacro che si cela nel profondo. Si pensa che non sia possibile misurare il caring ma possiamo sviluppare degli indicatori della qualità e uno degli strumenti per farlo è legato alla caritas: chiediamo al paziente se ha ricevuto cure amorevoli, se ha stabilito un rapporto di fiducia con i professionisti, se sono stati trattati con dignità, se hanno vissuto un ambiente curativo e se le proprie credenze e i propri valori sono stati rispettati; due di questi elementi sono legati alle performance ospedaliere, ovvero dignità e sensazione di un ambiente che aiuta questa cura.
Se non aumentiamo la nostra credibilità e le nostre conoscenze non saremo mai capaci di affermare l’indipendenza della nostra disciplina per criticare le fondamenta dello status quo. Abbiamo bisogno della tecnologia ma bisogna porre anche nuove domande alla tecnologia: dobbiamo essere consapevoli che viviamo in un modo materialistico e che essere ridotti allo status di oggetto va criticato come qualcosa di anacronistico. Ogni professione che perde i valori diventa una professione senz’anima. I processi di caritas sono essenziali per lo human caring che dipende dalla presenza, dall’intenzionalità e dalla consapevolezza che tutto questo può e deve essere applicato nella pratica clinica.
La brutta reputazione che vediamo data alle infermiere moderne è causata da una cattiva empatia che le stesse professioniste hanno con sè stesse. E questo va sradicato perchè siamo noi un ambiente di cura: quando tocchiamo gli altri tocchiamo noi stessi e questa un’azione sacra. La nostra professione non è solo un approccio scientifico. E’ molto di più”.
A concludere i lavori della mattinata il presidente della Regione Campania De Luca:
”Il cuore e la mente sono una dimensione di verità. Siamo abituati a correre, bruciare tutto, ad alienarci come cittadini ed operatori. L’ancoraggio scientifico può diventare un valido strumento se associato alla caritas, allo human caring. Tutti voi qui presenti avete una grandissima responsabilità per la prevenzione, la cura, il reinserimento sociale. In Campania abbiamo un’aspettativa più bassa di tre anni e scontiamo disastri decennali nel campo sanitario e sociosanitario. Siamo chiamati a riorganizzare tutto il modello e abbiamo bisogno per farlo di tutti gli operatori sanitari”.
Alla fine dell’intervento ha voluto chiarire sinteticamente l’attuale scenario della sanità campana lanciando speranze per l’occupazione infermieristica:
“Abbiamo perduto per nostra responsabilità 13.500 dipendenti ed è stato deciso il blocco del turnover. Oggi, però, abbiamo la possibilità di assumere 6000 dipendenti con un’opportunità di lavoro straordinaria per tanti che sono stati costretti ad andare via. Si sta aprendo una nuova pagina per noi e per voi. Stiamo aprendo la possibilità di forze fresche in Campania. Abbiamo deciso di voltare pagina. Vi chiedo di portare freschezza nelle nostre strutture, un rigore diverso perchè per troppi anni abbiamo permesso lassismo. Una grande sanità presuppone una grande professionalità”.
Anna Arnone
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