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Imputate due infermiere dell’ospedale Sant’Anna di Cona per omicidio colposo

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La legge “Gelli-Bianco” salva il medico imperito anche se è stata accertata la colpa grave
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Due infermiere a processo con l‘accusa di omicidio colposo per il decesso di una donna nel 2013

I fatti risalgono al periodo agosto-settembre 2013 e la data fondamentale è quella del 10 agosto. Quella mattina le due imputate in servizio nel reparto di chirurgia d’urgenza avrebbero aperto troppo la valvola che regolava il flusso di somministrazione per via endovenosa della nutrizione parenterale ad una signora ricoverata per un’occlusione intestinale.

Secondo l’accusa, sostenuta dal pm Barbara Cavallo, la sacca di nutrizione da somministrare nell’arco di 24 ore, si sarebbe svuotata in poche ore (dalle 8 alle 12,20), causando un’alterazione della glicemia della paziente, fino a provocarle una crisi respiratoria e il coma. La signora è stata poi portata in terapia intensiva dove è stata attaccata a un respiratore meccanico, è deceduta dopo aver subito un intervento chirurgico all’addome a scopo cautelativo. Il pm

Il quadro delle responsabilità emerse fin qui nel processo non sembra troppo chiaro, sia perché i testimoni non hanno offerto racconti univoci e definiti, complici anche i tre anni passati, sia perché è difficile capire se l’insufficienza respiratoria fatale sia stata causata dall’asserita negligenza delle infermiere o dalle complicazioni della successiva operazione chirurgica (una sepsi nello specifico).

Oltre alle infermiere, a seguito di una segnalazione alla procura fatta da personale medico dopo il decesso, sono stati indagati alcuni medici che hanno avuto a che fare con la paziente, ma le loro posizioni sono state archiviate.

Il Sant’Anna ha già provveduto a raggiungere un accordo economico con la famiglia della vittima che per questo non si è costituita parte civile.

Durante la prima udienza tenutasi mercoledì gli stessi medici sono stati chiamati a testimoniare. Di particolare rilievo il racconto di uno specializzando – anche lui indagato e poi archiviato – che quel giorno fece il giro visite insieme a un collega e due superiori: trovò la donna in buone condizioni seduta sul divano, tornò alla fine del giro per effettuare una medicazione alla compagna di stanza e, infine, partecipò all’intervento d’emergenza una volta avuta conoscenza dello stato di pericolo in cui versava.

“Abbiamo visto che era in coma e chiamato l’anestesista rianimatore – ha spiegato al giudice Alessandra Testoni – aveva difficoltà a respirare e abbiamo pensato a un’eventuale embolia polmonare. Poi abbiamo provato la glicemia, il macchinino dava sempre errore, ma non perché fosse rotto: la misurazione era fuori scala”.

In sala con i medici c’erano anche le due infermiere imputate. A loro, secondo quanto raccontato dallo specializzando, si è rivolto il dirigente medico di reparto chiedendo cosa fosse successo. “L’infermiera A. ha risposto ‘ce la siamo dimenticata aperta’, riferendosi alla sacca”, ha riportato nella testimonianza, “e quando il dottore ha chiesto di chi fosse la colpa ha riposto ‘di entrambe perché siamo entrambe in servizio’”.

Di fatto è l’unico a riferire di tale assunzione di responsabilità da parte delle due infermiere (una in maniera esplicita, l’altra implicita) ma è stato contraddetto da quanto affermato dal suo superiore che ha invece riferito che “le infermiere avevano detto di averlo trovato aperto”.

Di sicuro però “il regolatore del flusso era in una posizione che faceva andare giù la sacca velocemente”. Anche l’anestesista rianimatore ha negato di aver ascoltato alcuna ammissione di responsabilità.

Nelle prossime udienze verranno sentiti altri testimoni, tra cui l’infermiera caposala e altri colleghi, per spiegare di eventuali difetti dei vecchi sistemi manuali per l’erogazione della nutrizione parenterale, il perito del tribunale che, nella propria relazione sull’autopsia effettuata in incidente probatorio durante le indagini preliminari  (dunque coma atto irripetibile), non si è pronunciato in maniera certa sul nesso causale tra  il repentino svuotamento della sacca nutrizionale e la fatale insufficienza respiratoria, indicando anche una sepsi post-operatoria come possibile causa.

Tesi, questa, sostenuta anche dai consulenti delle difese. La sua audizione servirà per mettere a confronto i diversi punti di vista espressi dal consulente del pm (che ha analizzato le carte ma non ha partecipato all’incidente probatorio). Una differenza nelle valutazioni che potrebbe essere dirimente per l’esito del processo.

Fonte:

www.estense.com

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