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Il CVC in emodialisi: studio sull’efficacia della clorexidina

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Il CVC in emodialisi: studio sull’efficacia della clorexidina
Kidney dialysis
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Proponiamo un elaborato a cura di Isabella Parisi, infermiera neolaureata, che ha discusso una tesi sul tema.

Le infezioni nosocomiali rappresentano le complicanze più frequenti tra i soggetti che nella loro quotidianità si confrontano con la realtà ospedaliera, come nel caso del paziente emodializzato attraverso C.V.C. (catetere venoso centrale). Il seguente studio prede spunto da un interesse nato durante il tirocinio formativo universitario presso il Centro Dialisi del P.O. Mons R. Dimiccoli di Barletta.

L’attenzione è stata posta sul tipo di medicazioni effettuate a livello dell’exit-site del C.V.C del paziente che effettua il trattamento emodialitico esclusivamente attraverso questo accesso vascolare. Ed è proprio il paziente emodializzato che è diventato oggetto di uno studio più approfondito, in quanto essendo più vulnerabile, è particolarmente esposto al rischio di infezione. Le medicazioni poste a confronto nello studio sono state quelle effettuate con disinfezione a base di amuchina allo 0,05% nel 2017 e quelle eseguite con clorexidina al 2% nel periodo 2018/2019.

L’amuchina era considerata gold standard nell’esecuzione delle medicazioni a livello dell’exit-site sino all’anno 2017 in questo centro dialisi. La clorexidina non era stata ancora adottata perché si riteneva che un prodotto di base alcolica come quest’ultima potesse deteriorare il catetere venoso centrale ed esporre, quindi, il paziente ad un maggiore rischio di infezione conseguentemente ad una maggiore frequenza di sostituzione del catetere.

Lo studio è stato condotto su un totale di 98 pazienti suddivisi in due gruppi, ossia gruppo A (amuchina) e gruppo C (clorexidina), nel periodo compreso tra 2017-2019. Il lavoro è stato articolato in due parti: una retrospettiva, nella quale i dati relativi alle medicazioni effettuate con amuchina nell’anno 2017 sono stati estrapolati da schede infermieristiche, mentre una parte sperimentale, nella quale i dati sono stati raccolti dall’osservazione diretta per mezzo di una griglia precompilata (informazioni relative al paziente, al C.V.C. e alla capacità di gestione della medicazione) e attraverso una scala I.E.C (infezione emergenza cutanea) C.V.C, che ha permesso la valutazione della cute al cambio di medicazione.

La scala di valutazione in questione ha permesso di classificare in gradi differenti la cute in corrispondenza del sito di emergenza del C.V.C, attribuendo grado 0 alla presenza di cute integra, ovvero all’assenza di segni di infezione, mentre grado 1, 2, 3 alla presenza di segni di flogosi cutanea. Sono state effettuate un totale di n. 1480 medicazioni nel periodo considerato per lo studio. Valutando i singoli casi di presentazione della cute in corrispondenza dell’exit-site (sano, arrossato, gemizio e purulento) tramite utilizzo della scala I.E.C C.V.C, è stato possibile rilevare dal confronto dei due gruppi che le medicazioni eseguite con clorexidina hanno ridotto sensibilmente le infezioni, senza deteriorare il C.V.C.

Il punteggio medio totale riscontrato nei due gruppi mediante la scala I.E.C. C.V.C, infatti, parla chiaro: 5,921 nel gruppo A VS 1,917 nel gruppo C. Anche per quanto concerne la presenza o assenza di infezione, si è rilevato che effettuando la medicazione con clorexidina si sono avuti più casi di assenza di infezione piuttosto che presenza, questo a conferma della maggiore efficacia della clorexidina in tale applicazione.

Inoltre, si è voluto verificare nel contesto in questione se altre variabili come il sito di inserzione del C.V.C., il tipo di C.V.C, giorni di permanenza C.V.C., la fascia di età, il sesso ed il BMI del paziente potessero modificare l’incidenza di infezione nel paziente emodializzato. Dai dati ottenuti, la risposta a questo quesito è che pur essendoci state delle piccole differenze in ognuna di queste situazioni, esse non si possono ritenere statisticamente significative ai fini dello studio.

Dunque, questo ci porta inevitabilmente a concludere che indipendentemente dal tipo di C.V.C., dalla sede del C.V.C, dai giorni di permanenza del C.V.C., dall’età, dal sesso e dal BMI del paziente, se la medicazione viene effettuata con prodotti efficaci e gestita in modo corretto, permette di prevenire l’insorgenza delle infezioni. Questo studio conduce ad una inevitabile conclusione: intervenire per limitare le infezioni dell’exit-site nel paziente che esegue emodialisi attraverso questo accesso vascolare è importante per prevenire le infezioni sistemiche, riducendo il numero delle medicazioni nel tempo, il carico delle cure infermieristiche e il dispendio di risorse.

Le infezioni ospedaliere rappresentano un evento non desiderato da alcuno, non desiderato certamente dal paziente che ne sconta le conseguenze, non voluto dall’operatore sanitario al quale viene attribuita la responsabilità. Agire correttamente nel campo della prevenzione per limitarne gli episodi è uno tra i più importanti compiti che spettano ad un professionista della salute, come l’infermiere.

Dott.ssa Isabella Parisi

Riferimenti bibliografici
· Dalrymple LS , Mu Y, Nguyen DV, Romano PS, Chertow GM, Grimes B, Kaysen GA, Johansen KL. Fattori di rischio per l’ospedalizzazione correlata alle infezioni nell’emodialisi in centro. Clin J Am Soc Nephrol, 2015.
· Editor’s Choice – Vascular Access: Clinical Practice Guidelines of the European Society for Vascular Surgery (ESVS), 2018.
· Jaber BL. Bacterial infections in hemodialysis patients: Pathogenesis and prevention. Kidney Intern, 2005.
· Xia L, Guo X, Ye S, Wang M, Hong W. Fattori di rischio per infezioni associate al catetere venoso centrale e contromisure di prevenzione. Chin J Nosocomiology, 2014.
· O’Grady NP , Alexander M, Burns LA, Dellinger EP, Garland J, Heard SO, Lipsett PA, Masur H, Mermel LA, Pearson ML. Linee guida per la prevenzione delle infezioni correlate al catetere intravascolare. Clin Infect Dis, 2011.

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