Home NT News I3C e il microbiota intestinale come rallentare la proliferazione virale ed evitare polmoniti interstiziali bilaterali interstiziali
NT News

I3C e il microbiota intestinale come rallentare la proliferazione virale ed evitare polmoniti interstiziali bilaterali interstiziali

Condividi
I3C e il microbiota intestinale come rallentare la proliferazione virale ed evitare polmoniti interstiziali bilaterali interstiziali
Condividi

Una sperimentazione che parte in Italia e condotta da italiani quali i genetisti Prof. Giuseppe Novelli dell’ Università di Tor Vergata e dal Prof. Pier Paolo Pandolfi docente dell’ Università di Torino e all’Università del Nevada per approdare poi uno studio sperimentale a carattere internazionale. Lo studio nasce a Roma cofinanziato dalla Fondazione Roma al quale hanno collaborato anche nelle diverse fasi sperimentali L’Ospedale Bambin Gesù di Roma, L’istituto Spallanzani e L’Università San Raffaele di Roma, insieme a diverse istituzioni:

  • americane come l’ Università di Harvard e la Boston University ed altri enti: Yele, Rockfeller, NIH, Mount Sinai
  • canadesi: Università di Toronto, 
  • francesi: INSERM Parigi, Hospital Avicenne

Lo studio è stato pubblicato poche ore fa sulla rivista Cell Death e Disease e mette in correlazione una sostanza organica di tipo naturale ben tollerata dall’ organismo umano, si tratta dell’ I3C ovvero l’Indolo-3 Carbinolo si tratta di una sostanza derivante dalla degradazione del glucosinolato glucobrassicina presente in quasi tutte le piante crocifere, in particolare è contenuta in grandi quantità ni broccoli, nei cavoli, nei cavolini di Bruxelles e nei cavolfiori. 

Lo studio ha portato alla rilevazione di una classe di enzimi gli E3-ubiquitin ligasi che servono al virus Sars CoV2 utili alle frazioni del genoma virale ad abbandonare le cellule già infettate ed esporsi, nello spazio extracellulare, ad altre cellule dando così la possibilità al virus di infettare altre cellule in modo sempre più veloce; velocità che aumenta ad ogni abbandono cellulare del genoma virale.

Questi enzimi sono stati ritrovati in quantità elevate negli individui affetti da Covid in particolare si riscontrano in quantità elevate nei polmoni. E’ stato anche rilevato che in un sotto gruppo di pazienti che hanno manifestato sintomi gravi vi sono state delle alterazioni genetiche rare le quali sono un fattore scatenante per l’aumento dell’attività di tali enzimi, aumentando così, ulteriormente, l’ evasione del virus infettante. 

Ebbene la capacità dell’ I3C è proprio quella di inibire questi enzimi E3-ubiquitin ligasi evitando così l’ evasione del virus dallo spazio intracellulare pe andare nell’area extracellulare; naturalmente questa rilevazione è avvenuta in provetta ovvero nella prima fase di una sperimentazione, ora però, bisogna intraprendere direttamente la fase di somministrazione dell’ I3C ai pazienti Covid positivi a diverso grado sintomatico e con diverse complicanze: questo è per poter capire che reazione può provare in tali pazienti e soprattutto serve a verificare se il risultato atteso e già manifestatosi in vitro si manifesti anche sui pazienti.

Da come si può intendere, questa sperimentazione ha la strada spianata e ha bai passato la sperimentazione sugli animali semplicemente perché è una sostanza naturale già in commercio e utilizzata in farmacologia, viene utilizzata ad esempio per ridurre la proliferazione del Papilloma Virus, oltre ad avere degli impieghi anche in campo oncologico per la sue capacità “inibenti”. 

I3C è una sostanza naturale proveniente dal mondo vegetale, ed in particolare è presente in grandi quantità proprio in vegetali commestibili; questo non è un dato non da poco e anzi possiamo dire che lo studio rappresenta un anello di congiunzione, un tassello in più che si aggiunge al quadro inerente alle conoscenze acquisite in altri studi inerenti le funzioni del microbiota intestinale e polmonare.

Apparentemente sembrerebbero non essere collegati questi due aspetti ma in realtà è presente una relazione profonda tra la necessità di preservare i microbioti intestinali e polmonare e la sostanza I3C.  Proviamo ora a capire come i microbiota intestinale e polmonari, se alterati e quindi in disbiosi, influisce su una comparsa della sintomatologia grave nei pazienti infetti da covid e quindi scaturire in quadri clinici critici con polmoniti da Sars Covid: sono numerosi studi, svolti in tutto il mondo, mettono in correlazione covid-19 con il microbiota intestinale; per il tramite del recettore dell’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2); causando così l’aggravamento del quadro clinico respiratorio nei pazienti contagiati.

Come affermato in uno dei primi studi scientifici svolto in Cina “2019 Novel coronavirus infection and gastrointestinal tract Article in Journal of Digestive Diseases 21(3) · February 2020”. Tale correlazione, che vede in primis il microbiota intestinale ovvero l’insieme dei microrganismi che colonizzano l’intestino e poi l’agente virale Sars-CoV 2, non va sottovalutata. Difatti risulta essere il nocciolo della questione nonché il differenziale nei quadri clinici che si presentano con polmoniti interstiziali bilaterali e in pazienti che non manifestano sintomi respiratori.

Questi ultimi vanno in risoluzione senza presentare nessun tipo di segno e sintomo. Bisogna immaginare un asse di congiunzione, per altro molto stretto, tra la formazione microbiota intestinale e quella polmonare; entrambe altamente influenzabili da fattori intrinseci ed estrinseci. Sì, perché proprio come esiste un microbiota intestinale, anche le cavità respiratorie presentano un terreno microbiotico.

Ora, focalizziamo l’attenzione sui concetti di microbiota intestinale e polmonare possiamo affermare con certezza che il nostro corpo è costantemente colonizzato da un gran numero di microrganismi che, nei quantitativi non alterati, possiamo definirli in “assetto funzionale”. Questi favoriscono e supportano numerose attività di vitale importanza sin dall’epoca neonatale, come lo sviluppo ed il costante mantenimento del sistema immunitario.

A livello intestinale favoriscono la corretta digestione, ma il microbiota intestinale influenza anche il microbiota polmonare in quanto queste due cavità sono in stretta comunicazione. I due microbioti si presentano, sia in assetto normale sia un quello alterato; molto uguali l’uno all’altro e colonizzati dagli stessi microrganismi quali Bacteroides ed i Firmicutes.

E ad influire sul giusto equilibrio dei microbioti intestinale e polmonare creando una disbiosi, vi sono, come detto prima, innumerevoli fattori che possono influire negativamente. Cosa fondamentale però è che i più importanti posso essere modificati e sono essenzialmente racchiusi in ciò che viene definito lo stile di vita: alimentazione con un eccesso di carne rossa, insaccati, eccesso di zuccheri e abuso di alcol, possono però avere effetti negativi. Anche l’uso prolungato di antibiotici e antiacidi, l’abuso di lassativi, trattamenti ormonali, carenza di fibre vegetali; ma anche l’ambiente in cui si vive abitualmente, clima eccessivamente umidi o secchi, stress psicofisico, la sedentarietà ed il fumo.

Ora, che ruolo può avere il microbiota intestinale e una sua disbiosi nella prognosi dei pazienti covid 19? Partiamo con il presupposto che una disbiosi influisce sul sistema immunitario indebolendolo e favorendo così lo sviluppo di alcuni ceppi patogeni a discapito di altri. Tali ceppi sembrerebbero essere in grado di modulare dei recettori per il coronavirus: ACE2 in primis, ma anche DPP4 e ANPEP. E cosa fondamentale, è stato studiato come la presenza della Salmonella enterica nell’intestino tenue ha difatti dimostrato di aumentarne l’attività.

E, di conseguenza, una maggiore probabilità di replicazione virale e sviluppo della patologia associata. Un ulteriore dato importante riscontrato in molti studi osservazionali di pazienti affetti da Sars-CoV 2 è che alcuni batteri, come Ruminococcus gnavus aumentano significativamente nella microbiome signature ed ad essi sono correlati positivamente i livelli elevati di citochine pro-infiammatorie nel torrente ematico; in particolar modo le citochine NF alfa, IL 1 beta e soprattutto IL 6. Oltretutto questi batteri sono stati riscontrati in quantità eccessive in tutti i pazienti con prognosi infausta aventi quadri clinici infiammatori respiratori gravi.

Alla luce di questi studi ed evidenze scientifiche possiamo affermare che preservando un giusto equilibrio dei microbioti intestinale/polmonare e quindi uno stato di eubiosi; si rafforza, senza creare degli indebolimenti, il sistema immunitario. Quindi, per deduzione logica preservando (nei limiti del possibile e tenendo conto delle possibili patologie di base di ogni individuo) lo stato di eubiosi e quindi il sistema immunitario; si può avere maggiore probabilità di non presentare patologie respiratorie gravi qualora ci si contagi con l’agente virale Sars-CoV 

2.Dal punto di vista alimentare, mantenere un microbiota in eubiosi significa avere:

una dieta povera di sodio, ma ricca di fonti proteiche vegetali e selezionate come il pesce; un equilibrato apporto di acidi grassi insaturi e polinsaturi; come quelli della frutta secca, del pesce e dell’olio d’oliva, utilizzo abbondante di vegetali ricchi di oligoelementi e soprattutto fibre aumentando anche  l’apporto di quelli che sono i vegetali che naturalmente contengono I3C e preferire una cottura salutare dei cibi di tipo non cancerogena e rispettosa dei nutrienti e delle vitamine; favorire attività fisica giornaliera a discapito della sedentarietà; evitare l’utilizzo continuato di cibi che possono creare stati infiammatori persistenti a livello non solo del distretto intestinale, ma anche corporeo; come l’utilizzo di cibi derivati da farine raffinate, zucchero raffinato, carne e derivati, latte e derivati, bevande alcoliche, fumo sia attivo che passivo; evitare stress e luoghi ricchi di smog.

Queste indicazioni potrebbero in una buona percentuale di probabilità, ridurre il rischio non solo di contagio (tenendo conto del mantenimento indiscusso del distanziamento sociale e dell’utilizzo altrettanto fondamentale dei dispositivi di sicurezza individuale) ma in un eventuale contagio potrebbero ridurre notevolmente il rischio dello scaturire di gravi patologie infiammatorie ad esso correlato, evitando quadri di prognosi riservata e/o infausta. 

Teresa Colacci, Martina Romanazzi, Giulia Giordano, Rosaria Abbundo, Gustavo Castellano.

Ultimi articoli pubblicati

Condividi

Lascia un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli Correlati
Nursing Up: "Sciopero il 5 dicembre. Infermieri al fianco dei medici"
NT News

Sanità al collasso: medici, infermieri, oss e professionisti in sciopero il 20 novembre

Di fronte a una sanità in crisi, i sindacati di medici e...

NT News

Robert F. Kennedy Jr. nominato da Trump alla Salute: il leader no vax guiderà la sanità americana

Donald Trump ha scelto una figura controversa per guidare il Dipartimento della...

LazioNT NewsRegionali

Convegno “Universalità delle cure e sostenibilità dei Ssn in Europa”: appuntamento a Roma il 22 novembre

Nell’ambito delle iniziative correlate al Giubileo 2025, organizzate dalla Conferenza Episcopale Italiana insieme...