L’umanizzazione della sanità è un processo che vede il malato al centro della cura: è un processo che vede coinvolta tutta l’equipe sanitaria che si occupa dell’assistenza e della cura della persona e negli ultimi anni sono stati effettuati passi da gigante in questa direzione
A tal proposito, il termine “olismo”, quale stato di salute globale, è ormai di uso comune nelle università e negli ospedali, tanto da diventarne un obiettivo fondamentale e per cui si mettono in campo diversi mezzi per raggiungerlo.
La riflessione infermieristica ha uno dei suoi punti fermi nell’approccio olistico e sistemico alla persona: l’infermiere possiede numerosi strumenti per favorire tale processo, sempre tenendo conto delle numerose esigenze della persona assistita: basti pensare al modello funzionale di Marjory Gordon, elemento guida nell’accertamento globale delle condizioni del paziente, comprendendo non solo la sfera fisica ma anche quella emozionale, dimostrando che anch’essa può condizionare diversi apparati.
Il supporto psicologico, il mantenere un costante contatto con la quotidianità e con la propria dignità, infatti, sono elementi fondamentali nell’assistenza di un paziente ricoverato, specialmente quando non è in grado di comprendere a fondo i motivi della sua degenza e quando non riconosce l’ambiente in cui si trova.
É importante che l’infermiere tenga conto dei risvolti emotivi, quali ad esempio l’ansia, da cui è afflitto il proprio assistito, condizioni che sono nel medesimo livello di importanza all’interno del piano di assistenza, insieme all’igiene e al rispetto del programma terapeutico.
Per elaborare un piano di assistenza infermieristica globale, ci viene in aiuto anche il sistema di diagnosi infermieristiche, attraverso le quali è possibile applicare il miglior metodo di intervento rispetto alle necessità del nostro assistito, incluse quelle riguardanti la sfera emotiva. Nella sua pratica quotidiana, spesso l’infermiere si trova nella condizione di delegare alcuni compiti ad altre figure di supporto e avvalersi della professionalità di altri operatori è diventata una necessità che va sempre di più a favore del paziente.
Negli ultimi anni, ad esempio, si sente sempre più parlare di “clownterapia”, senza tuttavia addentrarsi nello specifico, approfondendo il ruolo e l’importanza degli operatori con il naso rosso.
Molto spesso, inoltre, sono gli stessi volontari con il naso rosso a sottovalutare l’importanza e la peculiarità di questa attività: capita spesso che i volontari stessi si cimentino in un’attività che reputano portatrice di allegria, senza pensare alle conseguenze dei loro interventi, sugli assistiti ma anche su sé stessi.
I clown dottori (questo il nome con cui vengono chiamati i nasi rossi di corsia) sono operatori che, a prescindere dal proprio titolo di studio, utilizzano l’arte del clown, agendo sulla parte sana dei pazienti al fine di diminuire le emozioni negative e infondere emozioni positive.
Spesso, è il personale sanitario stesso in contatto con i clown dottori ad avere pochissime informazioni sul percorso formativo effettuato e sui “ritorni in formazione” obbligatoria a cui devono adempiere, rimanendo colpiti e affascinati da questo mondo e richiedendo spesso anche corsi di approfondimento in merito, in modo da acquisire maggior competenze relazionali.
Per favorire il processo di unificazione e formazione dei clown in corsia, nel 2005 è stata fondata la Federazione Nazionale Clowndottori che riunisce associazioni di clown terapia attive sul territorio italiano ed il cui obiettivo è di fornire linee guida evidence based, un codice deontologico comune, sia per quanto riguarda la formazione, sia per quanto riguarda l’attività in ospedale.
Molto spesso, infatti, il più grande errore che si commette quando ci si avvicina al mondo della clownterapia è quello di non comprendere in pieno l’importanza della formazione iniziale e continua: i clown dottori appartenenti ad FNC svolgono un copioso corso di formazione dove oltre alle nozioni di teatro, improvvisazione e clownerie, vengono insegnate materie socio-psico-pedagogiche, norme igieniche e sulla sicurezza, per un totale di 400 ore di corso più 180 di tirocinio.
Tuttavia, tale percorso non può dirsi esaustivo ed i clown di FNC effettuano formazione continua volta a compiere corsi di aggiornamento, così come percorsi di supervisione psicologica a cadenza mensile per tutti coloro che vanno in corsia.
Questa formazione ha lo scopo di fornire la migliore preparazione per affiancare nella maniera più utile gli operatori sanitari nella gestione globale dei pazienti, attraverso i mezzi che il clown può portare all’interno delle strutture ospedaliere come la distrazione, la magia, la musica ed il gioco; tutto ciò, da utilizzare nei modi e nei tempi più adeguati, che il clown dottore deve saper sempre riconoscere.
Ad avvalorare l’importanza dell’operato dei clown dottori vi sono numerosi studi effettuati per testare gli effetti del buon umore e della presenza comica di queste figure nelle strutture ospedaliere, nell’assistenza del bambino, sia dell’adulto e dell’anziano.
Sebbene in Italia sia ancora in evoluzione il processo affinché la figura del clown dottore sia una figura professionale formata e competente, si sta sempre più diffondendo la consapevolezza e la necessità per i volontari di essere preparati all’attività.
Tutto questo grazie anche al lavoro della Federazione Nazionale Clowndottori che riunisce 15 associazioni disseminate su tutto il territorio nazionale.
Patrizia Petetta
Infermiere e clown dottore dell’associazione “Il Baule dei Sogni” di Ancona
Bibliografia
Carpenito-Moyet L. J. (2006). Diagnosi Infermieristiche: applicazione alla pratica clinica. Casa Editrice Ambrosiana, Milano.
Dionigi A., & Gremigni P. (2014). La Clownterapia. Ed. Carocci, Roma.
Sitografia
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