Pubblichiamo qui la lettera di una collega infermiera
La collega non ha accettato le misere offerte delle cooperative e, in attesa dei concorsi, lavora come ‘promoter’ in un’azienda di automobili; studia per realizzare il suo sogno: diventare una ricercatrice infermieristica.
“Buonasera Alessio, mi sono permessa di scriverle perché seguendo la sua pagina Facebook e leggendo ciò che pubblica, ho sentito dal profondo la necessità di scriverle e di farle conoscere la mia storia…”
È così che inizia una lettera inviatami da una collega, infermiera a Torino, in questi giorni.
Collega che, dopo averci riflettuto un po’, per paura di eventuali ripercussioni nel suo percorso universitario, mi ha chiesto di rimanere anonima.
Riporto qui, integralmente, il suo scritto.
“Sono una giovane infermiera di 23 anni, laureata nell’Aprile del 2016 presso l’università di Torino (città meravigliosa e che io adoro).
Sono orgogliosa di aver intrapreso la strada che mi ha portata ad essere una rappresentante di questa professione unica, speciale, con tanto tanto potenziale, ma… purtroppo ancora troppo sottovalutata e scarsamente riconosciuta.
Al momento sto frequentando il corso di laurea magistrale e… prima di iscrivermi, ho cercato lavoro e ho trovato diverse opportunità; sempre che si possano definire tali… già, perché si trattava solo di cooperative, purtroppo, che proponevano contratti a tempo determinato esclusivamente per il periodo estivo (da giugno a settembre) e per lavorare in case di cura private dove si era da soli con un OSS a gestire sessanta pazienti allettati.
Inutile dirle che il contratto prevedeva uno stipendio da fame, con sole 140 euro in più rispetto allo stipendio dell’OSS!
Perciò, senza pensarci troppo, ho risposto ‘no grazie’. Forse sbagliando.
Poi ho cercato ancora ed ho trovato una società che cercava infermieri da inserire nel contesto territoriale, in particolare per l’ ASL TO2.
Questa società, finita anche sui quotidiani nazionali e denunciata recentemente dall’IPASVI di Torino, cercava infermieri automuniti (con le spese del carburante, della manutenzione e coi tempi per gli spostamenti a carico del, lavoratore ovviamente), disponibili dalle ore 8 alle 11 per eseguire prelievi ematici a domicilio.
Il bello è che dopo averli eseguiti e portati personalmente in ASL, era necessario fotografare le provette ed inviare le immagini in azienda così da venire retribuiti (ogni prelievo veniva pagato 2,50 euro, con la partita iva).
Anche stavolta ho detto un mesto ‘no grazie’ e forse sono stata stupida per la seconda volta.
Il mio rifiuto di sottostare a queste condizioni demansionanti, dequalificanti e al limite dello sfruttamento, nasce soprattutto dalla forte convinzione che avevo, ma che col tempo si va tramutando in una sempre più flebile speranza: è dicendo NO e solo dicendo NO a determinate condizioni che noi professionisti sanitari infermieri possiamo sperare che cambino veramente le cose! È ora di alzare la testa e di farci rispettare!
Forse è un idea presuntuosa, vista la necessità che molti giovani hanno di lavorare, dato che la crisi che da anni affligge il Bel Paese sembra proprio non voler finire, ma… sono convinta che oramai si sia instaurata nei giovani laureati una sorta di deviante tendenza, che porta ad accettare di tutto pur di fare esperienza e di guadagnare qualcosa.
Una specie di degrado professionale, che ti fa perdere per strada quell’entusiasmo e quell’energia necessarie per cambiare veramente il sistema; un sistema complesso. Da cui, purtroppo, si viene inglobati senza più la forza di lottare.
Anche e soprattutto perché l‘università non ti da i mezzi per capire seriamente come va il mondo del lavoro: ti fa studiare tanto, sì, ma poi durante il tirocinio clinico ti fa rifare i letti e sanificare le unità dei pazienti; sfruttandoti, di fatto, come pura e squallida manovalanza.
Inoltre, i giovani laureati infermieri, che già di per sé non hanno la forza di reagire, si accorgono presto anche di non poter contare su una categoria unita, in grado di sostenerli e orientarli verso un qualche tipo di cambiamento reale.
Credo infatti che ci siano varie (troppe) ed enormi disuguaglianze e divergenze tra gli infermieri di nord, sud, centro, vecchia generazione, nuova generazione, scuola regionale ecc…; diversità che contribuiscono a creare confusione, poca coesione, scarsa condivisione di obiettivi e di vedute.
Con questo mio discorso lungo e noioso, per cui mi scuso, le voglio esprimere un senso di sconforto e di amarezza molto forti… perché ora sto lavorando in una azienda di automobili, in cui faccio la promoter e presentatrice di macchine.
Lavoro che non è quello che mi aspettavo dopo il mio percorso universitario, certo, ma che mi lascia spazio da dedicare all’università e allo studio.
Garantendomi, tra l’altro, una paga ben superiore a quella offertami dalle cooperative come infermiera, purtroppo!
Lo so che probabilmente un giorno pagherò cara questa mia scelta di non fare esperienza in ambito sanitario.
Forse qualcuno mi considererà anche una lavativa (cosa non vera ovviamente), ma… proprio non ci riesco a fare la volontaria/missionaria!
Non è mia intenzione mollare, sia ben chiaro… per prima vorrei impegnarmi per dare un nuovo senso a questa professione.
Anzi, spero proprio che un giorno potrò lavorare nella ricerca infermieristica! Sono una persona curiosa, che ha davvero una gran voglia di imparare e di conoscere più aspetti possibili relativi alla professione.
Un sogno stupendo, anche se al momento molto difficile da realizzare… perché se non sei ‘qualcuno’ e/o non conosci nessuno (il mio caso), qui non puoi sperare di realizzare un bel niente.
Chiudo il tutto, dicendole che… io credo tantissimo in questa professione meravigliosa, che ti mette realmente a contatto, come nessun altra professione o mestiere, con la persona e il suo vissuto.
Spero davvero che un giorno le cose possano davvero migliorare e che avvengano i tanti sospirati cambiamenti.
Bisogna innanzi tutto innalzare il nostro livello culturale (la conoscenza ci rende meno manipolabili, più liberi e consapevoli del nostro valore e della nostra intellettualità) e sviluppare una maggiore coesione tra tutti noi professionisti; sono queste, secondo me, le uniche strade da percorrere per poter crescere.
Grazie per il suo tempo.
Cari saluti.”
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