Infermieri nelle reti oncologiche territoriali. E non solo per garantire l’assistenza, ma anche come monitoraggio e supporto, soprattutto domiciliare, dei pazienti e sostegno delle famiglie.
Un compito che – ha spiegato Tonino Aceti, portavoce della Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), intervenuto oggi alla Giornata nazionale del malato oncologico e in occasione della presentazione della XII edizione del Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici realizzato dalla FAVO; Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia – si caratterizza ancora di più con l’introduzione nel Servizio sanitario pubblico dell’infermiere di famiglia e comunità, previsto dal Patto per la salute, ufficializzato per legge nel decreto Rilancio e recepito con specifiche linee di indirizzo dalla Conferenza delle Regioni.
Lasciare le cure oncologiche solo all’ospedale – come spiega anche il rapporto FAVO di cui per il primo anno la FNOPI è partner e ha realizzato un capitolo sull’assistenza infermieristica – potrebbe rendere più complesso il percorso del paziente ed avere un impatto sulla qualità di vita, ma anche, come nel caso specifico della pandemia COVID-19, il rischio della perdita di un fattore fondamentale in questo tipo di patologie: la rapidità e la brevità dei tempi di intervento.
“Uno dei ruoli essenziali dell’infermiere di famiglia/comunità – ha spiegato il portavoce FNOPI – figura prioritaria accanto all’infermiere specializzato in oncologia e in cure palliative, è il monitoraggio della stabilità clinica/assistenziale e valutazione di alterazioni sintomatiche delle condizioni di salute in caso di malattia, acuta o cronica, che possono indicare aggravamento o comparsa di complicanze, in integrazione con i medici di medicina generale e gli altri professionisti coinvolti. E questo avviene soprattutto grazie a un’organizzazione distrettuale delle aziende sanitarie, fuori dell’ospedale”.
“Si tratta – prosegue – di una tipologia di assistenza di cui finora non hanno potuto usufruire davvero in molti. Con l’infermiere di famiglia e di comunità il Servizio sanitario nazionale entra nelle case delle persone, garantisce un più alto livello di salute, riduce le disuguaglianze di salute e soprattutto migliora la qualità della vita dei pazienti, riducendo al massimo gli spostamenti evitabili verso strutture sanitarie distanti dal domicilio delle persone.
L’introduzione di questa figura avrà anche effetti positivi sull’aderenza terapeutica e sulla riduzione dei costi privati sostenuti dai pazienti che sappiamo essere un problema importante come segnala il Rapporto Favo di quest’anno: 7 pazienti su 10 si trovano in situazione di difficoltà economica”.
“Ora però questa opportunità deve diventare realtà in tutte le Regioni, anche perchè sono state stanziate risorse ad hoc, e siamo certi che nel raggiungimento di questo obiettivo come pure per l’approvazione del nuovo Piano oncologico nazionale la FAVO e la FNOPI continueranno a lavorare insieme.
Per gli infermieri nessun paziente deve essere lasciato indietro, soprattutto in questa fase della pandemia e nonostante la pressione alla quale è sottoposta il Ssn. “Non esiste solo il Covid-19 – conclude Aceti – ci sono molti altri pazienti con molte altre patologie che non possono e non devono essere lasciati soli”.
Redazione Nurse Times
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